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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2011 alle ore 08:12.
Oltre 94mila pensioni in meno nel 2011 grazie agli interventi varati fino alla scorsa estate dal Governo Berlusconi. E una riduzione di quasi l'1% della spesa pensionistica sul Pil già nel 2015 con l'innalzamento dal prossimo anno dell'età pensionabile e l'adozione del contributivo per tutti voluti dall'Esecutivo Monti.
Un doppio risultato che consente all'Italia di chiudere per un po' l'eterno cantiere delle pensioni, assicurando, a differenza della gran parte dei nostri partner europei, una solida sostenibilità al nostro sistema previdenziale nel breve e nel lungo periodo. Basti pensare che dal prossimo anno si potrà restare al lavoro fino a 70 anni e scompariranno le 'anzianità'.
Con le misure mirate, confezionate tra il 2010 e la prima metà del 2011 dal Governo di centro-destra e il piano di interventi strutturali Fornero-Monti inserito nella manovra di Natale, l'Italia ha dimostrato di essere in grado di compiere passi significativi, e anche innovativi, sul difficile terreno previdenziale. Un terreno strategico, perché è quello dove ogni Paese dovrebbe essere in grado garantire i diritti acquisiti e allo stesso tempo salvaguardare il futuro delle giovani generazioni, dando segnali tangibili di rigore sul fronte dei conti pubblici. Per l'Italia i numeri parlano da soli.
La finestra mobile che dal 2011 ha di fatto ritardato le uscite di un anno, adottata dal Governo Berlusconi insieme all'aggancio alla speranza di vita a partire dal 2013 e all'innalzamento dei requisiti di uscita delle lavoratrici statali, ha già consentito di rallentare significativamente la corsa ai pensionamenti. Rispetto al 2010 le uscite si sono complessivamente ridotte del 29,5 per cento. La frenata ha interessato sia le pensioni di vecchiaia (-39,4%) sia quelle di anzianità (-20,1%) con ricadute positive sui conti dell'Inps, che non a caso conta di chiudere il bilancio sostanzialmente in pareggio. Queste misure, da sole, avrebbero dovuto alleggerire, seppure di poco, la spesa sul Pil (-0,2% nel 2015).
Gli interventi messi a punto dal Governo Berlusconi hanno insomma prodotto qualche effetto positivo anche nell'immediato, oltre a rafforzare la sostenibilità del sistema previdenziale nel lungo periodo. L'ennesima risposta rassicurante a Bruxelles dopo quelle già date con le riforme che si erano susseguite a partire dagli anni Novanta: tutti provvedimenti molto apprezzati in sede europea. Rimanevano due nei. Anzitutto una fase di transizione troppo lenta per arrivare alla piena sostenibilità, soprattutto per effetto dell'anomalia dei pensionamenti di anzianità.
Restava poi da sciogliere il nodo dei tassi di sostituzione (di fatto il rapporto tra l'assegno previdenziale e i contributi effettivamente versati) ancora troppo generosi per alcune fasce di lavoratori a causa della perdurante presenza di una significativa componente retributiva nel nostro sistema.
Il pacchetto di interventi, messo a punto dall'attuale ministro del Lavoro Elsa Fornero, che entrerà in vigore dal 1° gennaio, dà una risposta certa a queste questioni rimaste per troppo tempo aperte, superando addirittura qualsiasi aspettativa. I pensionamenti di anzianità, che ancora nel 2011 hanno garantito uscite con un'età media di poco meno di 59 anni, scompariranno. La soglia di vecchiaia salirà subito sensibilmente per tutti i lavoratori. E così l'asticella di riferimento, fin qui a quota 60,2 anni, risulterà più alta di quella dei francesi (59,3 anni) e, in poco tempo, anche di quella di quella dei tedeschi (61,7 anni). Allo stesso tempo scompariranno anche i casi ancora esistenti di assegni vicini all'80% dello stipendio. Un'operazione che, come ha detto il presidente dell'Inps Mastrapasqua, consentirà di mettere in sicurezza il sistema previdenziale e garantirà entro il 2020 risparmi per 20 miliardi.
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