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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2012 alle ore 06:43.

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Il ritardo nella presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno non fa scattare l'espulsione automatica del cittadino extracomunitario. Lo precisa la Cassazione con la sentenza 15129 depositata il 10 settembre scorso.
I fatti: un cittadino albanese ricorre contro il provvedimento del giudice di pace che respingeva l'opposizione al decreto di espulsione emesso dal Prefetto. In particolare, la misura prefettizia era basata sulla ritardata presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine dei 60 giorni dalla scadenza. In sostanza, il ricorrente contesta al Prefetto la mancata valutazione nel merito della documentazione attestante il ritardo nella presentazione della domanda di rinnovo entro un termine, comunque, che non ha natura perentoria.
La Cassazione accoglie il ricorso affermando che la presentazione spontanea in base all'articolo 13 del decreto legislativo 286 del 25 luglio 1998, della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di 60 giorni dalla sua decadenza, non consente l'espulsione automatica dello straniero, che può essere disposta solo se la domanda è stata respinta per la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno dello straniero sul territorio nazionale. Dunque, conclude l'estensore, era obbligo dell'amministrazione esaminare la domanda tardiva e, nel caso, respingerla, ma non avrebbe potuto semplicemente ignorarla procedendo all'espulsione immediata.
La sentenza si pone nel solco tracciato dalla pronuncia delle Sezioni unite n. 7892/2003. In effetti, i giudici hanno precisato che l'espulsione potrà essere disposta solo se la domanda è stata stata respinta per la mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno dello straniero sul territorio nazionale; mentre la sua tardiva presentazione potrà costituirne solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva della situazione in cui versa l'interessato.
La pronuncia investe anche un altro aspetto rilevante: la lingua di redazione del provvedimento di espulsione. In particolare, l'albanese eccepisce alla Prefettura di aver tradotto il provvedimento di espulsione con una lingua a lui non conosciuta. La Corte, confermando il nuovo e recente indirizzo interpretativo (Cassazione 3678/2012), afferma che, esclusi i casi in cui la lingua dello straniero sia rara e non facilmente conoscibile sul territorio nazionale, l'amministrazione dell'Interno deve predisporre testi informatizzati dei provvedimenti di espulsione nelle lingue straniere più comunemente parlate dagli immigrati (arabo, cinese, albanese, russo).
In questo modo - si legge - pur garantendo le esigenze dell'amministrazione di governare con celerità fenomeni complessi, si deve assicurare un'informazione effettiva e immediata allo straniero, a garanzia dei suoi diritti.
Quindi, conclude l'estensore, l'amministrazione non potrà opporre l'impossibilità di trovare un traduttore della lingua conosciuta dallo straniero se, come nel caso dell'albanese, questa sia facilmente utilizzabile per notificare i provvedimenti espulsivi.
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APPROFONDIMENTO ONLINE Il testo della sentenza 15129/2012 www.ilsole24ore.com/norme