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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2010 alle ore 09:11.
L'ultima modifica è del 21 maggio 2010 alle ore 14:01.
La fotografia è del 2004. Al centro c'è un pallone da calcio, con tante mani sopra e i segni delle firme passate col pennarello. Due mani bianche e tante mani nere, di tonalità diverse. C'è la mano di Nelson di Mandela, quella di Thabo Mbeki, allora presidente del Sudafrica, accanto a quella di Abdoulaye Wade, presidente del Senegal, quella più chiara di Gheddafi. Ci sono le mani bianche di Sepp Blatter, presidente della Fifa, e di Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea.
Questa foto immortala il momento in cui viene ufficializzata la candidatura del Sudafrica per organizzare i Mondiali di calcio nel 2010. Una sfida impossibile. L'11 giugno i mondiali di calcio in Africa cominciano davvero. Sono passati appena 18 anni dalla riammissione del Sudafrica, dopo la fine dell'apartheid, nella federazione mondiale di gioco del calcio.
Leader ascoltato dagli africani
Prodi quell'immagine la ricorda bene: «Quella sera ci furono danze e musiche che non finivano più. Fu una vera festa africana». Il "professore" nell'Africa ha sempre creduto. Da presidente della Commissione europea prima («Noi europei siamo stati i primi a sostenere finanziariamente l'Unione africana dalla sua nascita, nel 2002, e non è stato facile: non tutti erano d'accordo») e da primo ministro poi. Lontano dai riflettori, in questi anni, ha sempre continuato a svolgere la sua azione di mediatore. Mentre parliamo, negli uffici della sua Fondazione per la Collaborazione tra i popoli - un semplice appartamento tra i portici di Bologna - riceve una telefonata del consigliere politico del primo ministro somalo, Omar Sharmarke. La sua espressione si fa seria. Il governo di transizione, debole già dal nome, è caduto. Il presidente Sheikh Ahmed ha sfiduciato il premier. Mentre i miliziani islamici continuano, quasi indisturbati, la loro guerra anti modernità, il paese è nel caos anche istituzionale.
La riforma delle missioni di pace Onu
Nel settembre 2008 Prodi, appena superata la sbornia dell'esperienza di Palazzo Chigi, alla vigilia dei 70 anni, ha voltato, di nuovo, completamente pagina. È tornato a fare il professore in due università negli Stati Uniti e in Cina. Ma l'incarico più importante è legato proprio al continente nero. Il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, gli ha affidato la presidenza del Panel internazionale per riformare le missioni di pace. Missioni che fanno acqua da tante parti e che costituiscono la voce di spesa più elevata per lo sterminato bilancio Onu. Il lavoro è terminato. Il dossier è stato presentato al Consiglio di sicurezza che dovrà pronunciarsi sul da farsi. La squadra capitanata da Prodi propone di passare progressivamente la responsabilità delle missioni di pace in Africa agli africani in termini finanziari, logistici, di formazione. Una nuova sfida impossibile. Il Consiglio di sicurezza non ha ancora deciso ed è diviso. I cinesi e gli americani sostengono la proposta Prodi. Contrarie le ex potenze coloniali europee, Francia e Gran Bretagna, che non ci stanno a perdere di colpo la loro sfera di influenza: «Non dico che sia sbagliato. È chiaro che ogni paese cerchi di favorire le relazioni economiche bilaterali per i propri interessi. Ma dico che bisogna superare questa impostazione, sforzandosi di aumentare la cooperazione in un rapporto di reciprocità».