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Un ex manager dell'Unilever è l'astro nascente della politica olandese

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 15:19.

Quarantatré anni, solida faccia da bravo ragazzo olandese e occhiali dalla montatura leggera, Mark Rutte è partito dalle retrovie. Ma da un mesetto si è accreditato come il probabile vincitore delle elezioni politiche dei Paesi Bassi, in programma per il 9 giugno. I sondaggi più recenti attribuiscono al suo Partito per la libertà e la democrazia (VVD) 36-37 seggi su 150, con un vantaggio calcolato tra 4 e 9 seggi sui laburisti del PvdA, che dovrebbero piazzarsi secondi. Se le inchieste demoscopiche si dimostreranno attendibili, Rutte sarà il prossimo premier olandese, visto che il "Lijstrekker", cioè il capolista del partito più votato, riceve tradizionalmente l'incarico di formare il governo (governo che, chiunque vinca, sarà sicuramente di coalizione).

La comparsa di Rutte in testa alle intenzioni di voto dei cittadini è una sorpresa, visto che il VVD, partito di centrodestra liberale, non ha mai espresso neanche un premier nei suoi più di sessanta anni di vita. L'ascesa nei sondaggi si basa su una graduale crescita dell'appeal di Rutte e su un concomitante appannamento degli altri candidati. Dapprima sembrava che il biondocrinito Geert Wilders, leader del Partito per la libertà, intravvedesse il colpaccio e che la sua ruvida crociata anti islamica potesse regalargli una clamorosa vittoria elettorale. Ma il suo insistere su quest'unico tema lo ha fatto scivolare sempre più in basso nei sondaggi, mentre crescevano le chance del candidato laburista Job Cohen. Il premier uscente, il democristiano Jan Peter Balkenende, sconta invece il fatto di essere da molto tempo al governo e non è mai sembrato in grado di strappare una riconferma.

Da quando nell'opinione pubblica le polemiche sull'immigrazione sono state messe in ombra dalla crescente preoccupazione per la situazione economica (che, a onor del vero, in Olanda è meno grave che altrove in Europa), ecco che il curriculum di Rutte e la goffaggine di Cohen e Wilders nel parlare di temi economici hanno mescolato le carte. Rutte infatti ha potuto esibire il suo pragmatismo, frutto della sua vita lavorativa precedente. Pur avendo una laurea in Storia, ottenuta all'Università di Leida dopo aver accantonato il desiderio di dedicarsi al pianoforte, Rutte ha lavorato per più di un decennio come manager di Unilever, colosso anglo-olandese che possiede un enorme portfolio di marchi nei campi alimentare, cosmetico e della pulizia della casa.

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Se i sondaggi trovassero conferma nel voto olandese del 9 giugno, il prossimo premier dei Paesi

Tags Correlati: Europa | Geert Wilders | Jan Peter Balkenende | Job Cohen | Lijstrekker | Mark Rutte | Partiti politici | Rita Verdonk | VVD | Wouter Bos | X Factor

 

Impiegato come dirigente della divisione risorse umane e come capo del personale, Rutte per vari anni, grazie a ravvicinati scatti di carriera, ha lavorato all'interno del gruppo Unilever, ora in forze alla casa madre ora invece distaccato in altre aziende controllate, come la Van den Bergh Nederland o l'IgloMora Groep. Naturale quindi che il primo incarico governativo offerto a Rutte sia stato nel 2002 quello di sottosegretario agli Affari sociali e all'Occupazione. Quando poi nel 2004 è diventato sottosegretario all'Educazione superiore e alla Scienza, sempre basandosi sul proprio background, si è prodigato per stringere i rapporti tra l'Università olandese e il mondo della produzione.

Manager prestato alla politica, Rutte è nel VVD fin da ragazzo: già leader dell'organizzazione giovanile del partito a fine anni Ottanta, a ventisei anni è entrato nella direzione nazionale. Ma se per i suoi modi garbati e la sua perfettineria di giovane manager capace e intelligente sembrava il figlio che tutte le olandesi avrebbero voluto avere, sembrava essere anche l'uomo che ben pochi olandesi avrebbero scelto per governare il paese. Noiosetto e piuttosto incolore, fino a pochi mesi fa, Rutte pareva poco più che un archetipo della jeunesse dorée, un rampollo figlia di quell'alta borghesia olandese in filo di perle e belle cravatte che è stata a lungo l'unico possibile target elettorale di un partito liberale destinato a non vincere mai le elezioni. Anzi Rutte in passato era visto con qualche sospetto anche all'interno del proprio partito, in quanto portatore di istanze troppo di sinistra, nonché della dichiarata volontà di scardinare la percezione del VVD come partito dell'élite. Al punto che qualcuno ancora qualche anno fa, lo dipingeva come il fratellino (nel partito sbagliato) dell'allora leader laburista Wouter Bos.

Per la verità, sotto le sue buone maniere, già nel 2006 Rutte aveva mostrato di possedere una certa spregiudicatezza politica e di saper adoperare la sua capacità di leadership non soltanto nella divisione Risorse umane di un grande gruppo privato, ma anche nella battaglia di partito. Proprio nel 2006, infatti, riuscì a battere nella corsa per la guida del VVD la coriacea Rita Verdonk ("Iron Rita"), che era ministro dell'Immigrazione e che, non digerendo la sconfitta, si creò poi il suo partitino personale. Alla prova del voto, però, nelle elezioni politiche di quell'anno, Rutte ottenne un risultato deludente. Il VVD arrivò, come al solito, quarto, perdendo sei dei ventotto seggi che aveva nella legislatura precedente. E anche nei primi passi della sua corsa pre-elettorale del 2010 sembrava che Rutte fosse rassegnato agli evidenti limiti del suo appeal: "In queste elezioni – diceva – non si deve decidere chi ha il maggiore X Factor per diventare primo ministro", ma si decide del futuro del paese. In effetti, un po' a sorpresa, i temi di discussione più succulenti per gli oratori in odore di X Factor come Wilders e Cohen, ad esempio i problemi legati all'immigrazione islamica, hanno man mano lasciato spazio a una più prosaica preoccupazione per gli effetti di una crisi che Rutte aveva annunciato per primo tra tutti i politici del suo paese. Ed ecco che improvvisamente il pragmatico liberale occhialuto e perbene è riuscito a imporsi nelle simpatie dell'elettorato e a vincere i dibattiti tv con gli avversari, grazie al fatto che il suo partito è il più market-oriented e che la sua esperienza in Unilever lo renda il più affidabile nel condurre un ampio piano di necessari tagli alla spesa di uno stato da sempre generoso quanto a welfare. Nel frattempo Rutte è riuscito anche a inventarsi qualche slogan efficace ("I mulini a vento non sono azionati dal vento, ma dai sussidi") e a ideare proposte capaci di prosciugare il bacino di pesca elettorale dell'anti-islamista Wilders (l'esclusione per i primi dieci anni degli immigrati dai sussidi di disoccupazione). Assai controversa invece una sua recentissima uscita sulla libertà di parola che dovrebbe bilanciare, in ottica liberale, la liceità di posizioni dure sull'Islam come quelle del Partito per la Libertà, che hanno condotto Wilders a dover affrontare in tribunale l'accusa di incitamento alla discriminazione. Sollevando pesanti critiche, Rutte ha proposto che sia depenalizzata la negazione dell'Olocausto, aggiungendo che secondo lui la legge olandese dovrebbe punire soltanto chi incita alla violenza, non chi incita all'odio.

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