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Perché nessuno, un anno dopo, parla dello «storico» discorso di Obama al Cairo

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 20:14.

Poco più di un anno fa, il 4 giugno 2009, il presidente americano Barack Obama ha tenuto il famoso, attesissimo e spesso mal interpretato discorso del Cairo con cui si è rivolto direttamente al mondo arabo e islamico. Dodici mesi dopo è come se tutti se ne fossero dimenticati, a cominciare dallo stesso autore. Il motivo è semplice: è stato il più grande flop politico della giovane presidenza Obama.

Il discorso avrebbe dovuto segnare il cambio radicale della strategia americana in Medio Oriente e per questo era atteso con speranza da un paese, gli Stati Uniti, impelagato in due guerre sanguinose. L'evento è stato confezionato in modo da renderlo epocale, ma a leggere bene il testo non si trattava affatto di quell'apertura al mondo arabo e musulmano promessa, invocata e sbandierata. Obama non si è rivolto al popolo musulmano, alla piazza araba, ai bazar iraniani. Si è rivolto ai teocrati, ai despoti, agli ayatollah, ovvero ai carcerieri del mondo arabo e islamico, offrendo loro la rinuncia americana alla politica liberale volta al cambiamento di regime (regime change) su cui Bush aveva insistito molto, in cambio dell'impegno a non sostenere più il terrorismo, a non diffondere ulteriormente l'odio religioso e, nel caso iraniano, a fermare il programma nucleare.

Il progetto è fallito poche settimane dopo, nel modo più spettacolare possibile. Di fronte all'offerta obamiana, il regime islamista di Teheran ha deciso di reprimere col sangue le legittime richieste dell'opposizione interna di voler contare i voti espressi alle elezioni presidenziali. Gli ayatollah se lo sono potuti permettere proprio perché la Casa Bianca aveva scommesso sulla rinuncia all'interferenza negli affari interni di Teheran. Obama era così convinto di poter far business con gli ayatollah, era così certo di poter convincere il regime iraniano ad abbandonare il nucleare, da essere stato l'ultimo capo di governo occidentale a solidarizzare con l'opposizione popolare travolta dalla squadracce islamiste. La gente, nelle piazze di Teheran, cantava: «Obama, o stai con noi o stai con loro».

La crisi politica iraniana e il costante progresso degli ayatollah nella costruzione dell'arma nucleare hanno travolto il discorso del Cairo. Obama è stato costretto a fare marcia indietro, almeno sull'Iran, ma ha mantenuto lo spirito di quelle parole pronunciate all'univeristà al Azhar: infatti ha tagliato i contributi ai gruppi democratici mediorientali, ha dimezzato gli aiuti alle organizzazioni egiziane che si battono per il rispetto dei diritti umani, provocando la protesta dei militanti liberali del Medio Oriente come Saad Eddin Ibrahim. Il leader dei democratici egiziani ha scritto al Washington Post per spiegare che Obama si sta facendo fregare dai regimi dispotici della regione e per svelare che ai democratici del Medio Oriente manca tanto la politica liberatrice di Bush. Uno shock, rispetto alle attese del Cairo.

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Tags Correlati: Barack Obama | Bush | Iran | Medio Oriente | Politica | Saad Eddin Ibrahim

 

La continuazione della guerra in Iraq e Afghanistan più i frequenti sconfinamenti in Pakistan non hanno cambiato nemmeno la percezione popolare nelle piazze arabe. Obama, esattamente come Bush prima di lui, è percepito come un occupatore e un nemico dell'islam. D'altra parte l'apertura ai regimi mediorientali non ha ottenuto grandi risultati, anzi nelle more gli Stati Uniti sembrano aver perso un alleato chiave nella regione: la Turchia della Freedom Flotilla e dell'asse con Teheran. E anche gli amici storici, come Israele, sono insoddisfatti dalla politica presidenziale. Ecco perché nessuno, un anno dopo, parla più dello "storico" discorso del Cairo.

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