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Iran sanzionato. Pasdaran e Cina alleati contro l'economia dei riformisti iraniani

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2010 alle ore 10:47.


Il giorno dopo le nuove sanzioni Onu all'Iran appare chiaro che Ahmadinejad avrà vita facile a fare la vittima del'Occidente e a portare avanti la sua politica di sfida intervallata da docce scozzesi diplomatiche. Ma appare altresì evidente che la partita a Teheran si giocherà sempre più sul terreno economico e dei diritti umani.

Un passo indietro per capire meglio: l'ex premier Mir Houssein Moussavi nel corso della sua sfortunta campagna elettorale contro Mohamoud Ahmadinejad promise un anno fa a Teheran davanti ai rappresentanti della comunità azera il rilancio dell'azienda produttrice di trattori di Tabriz, fabbrica voluta dallo scià Reza Pahlavi negli anni 70 per dare una struttura industriale al paese.


Moussavi, artefice come primo ministro di Khomeini negli anni 80 dell'economia di guerra con cui l'Iran seppe resistere per otto lunghi anni e un milione di morti agli attacchi dell'Iraq di Saddam Hussein promise di rilanciare la fabbrica e tutto il sistema industriale del paese per diventare meno dipendente dall'import esterno e soprattutto cinese. Moussavi parlò di piazzali della fabbrica pieni di 5mila trattori invenduti che si arrugginivano alle intemperie per la mancanza di concessione di prestiti pubblici agli agricoltori che a loro volta non potevano ammodernare i loro macchinari e migliorare la produttività delle campagne a nord di Teheran ricche di frutta e ortaggi.

Moussavi un anno fa parlò di rilancio delle imprese iraniane e della necessità di diventare un paese industriale e non solo un paese che vive di rendita petrolifera, fonte che oggi fornisce l'80% degli incassi pubblici. La politica economica di Moussavi è stata fermata, secondo l'Onda verde, dai brogli dei pasdaran e di Ahmadinejad che negli ultimi dodici mesi hanno messo le mani sull'economia del paese trasformandolo sempre di più in un grande mercato dove per esempio ufficialmente non ci sono relazioni con le aziende americane di elettronica e informatica ma dove tutto si trova negli scaffali dei grandi centri commerciali di Teheran di Vali Asr grazie alle pratiche delle importazioni parallele provenienti da Dubai.

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Chi ha in mano l'import parallelo di questi prodotti, i pasdaran e società collegate, sono diventati i migliori alleati dei cinesi che vogliono lasciare l'Iran in una condizione di economia di consumo senza nessuna capacità produttiva in proprio e una disoccupazione giovanile al 30%. Un paese da cui acquisire petrolio (Pechino importa l'11% del suo fabbisogno energetico da Teheran) e dove esportare manufatti a basso prezzo (elettrodomestici, automezzi, tessuti e perfino cosmetici). L'Europa al contrario avrebbe tutto l'interesse a trasformare l'Iran in una nuova Turchia, un paese integrato nell'economia continentale con cui avere rapporti sempre più stretti e di sviluppo del mercato anche e soprattutto per le piccole e medie imprese europee soprattutto italiane, le più dinamiche dell'Unione. Questa è la scommessa economica che divide l'Onda verde dei riformisti iraniani dai pasdaran difensori della maledizione della rendita petrolifera e dell'import parallelo di beni e servizi. L'Europa dovrebbe fronteggiare la minaccia iraniana rintuzzando quella cinese. Introducendo un'economia di mercato in Iran si faciliterebbe il rispetto dei diritti umani secondo lo slogan: «Più mercato, più diritti».

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