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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2010 alle ore 08:02.
Una volta scritto in «Gazzetta Ufficiale», lo «scalone» varato giovedì dal governo come emendamento alla manovra renderà ibride le regole per la pensione delle dipendenti pubbliche: trattate come gli uomini nei parametri per ottenere l'assegno di vecchiaia, e come le loro colleghe che lavorano nelle aziende private per quel che riguarda l'uscita di anzianità.
Lo stacco rispetto alle vecchie regole è netto, e anche la clausola di salvaguardia, introdotta per «fare salvi» i requisiti maturati fino a dicembre 2011, ha una valenza più psicologica che effettiva; le nate nel 1950 centrano i parametri quest'anno, chi invece è nato nel 1951 subisce il primo "scalino", introdotto l'anno scorso, e matura i requisiti solo nel 2012, e di conseguenza viene investito in pieno dalla novità che posticipa l'uscita effettiva al 2017.
Gli effetti dell'incrocio di queste regole sono indicate nel «pensionometro» riprodotto qui a fianco, che calcola per ogni profilo l'anno in cui è possibile abbandonare l'ufficio per ricevere l'assegno di anzianità o quello di vecchiaia. Dopo lo scalone, il popolo degli aspiranti pensionati è diviso in tre: gli uomini, per i quali la natura pubblica o privata del datore di lavoro non fa differenza, e le donne, distinte in dipendenti della pubblica amministrazione o di aziende private.
Oltre che dalla platea di appartenenza, l'epoca in cui sarà possibile salutare definitivamente i colleghi dipende naturalmente dall'anno di nascita (indicato nelle colonne laterali; il «pensionometro» che pubblichiamo qui a fianco misura il destino dei nati fra il 1950 e il 1980) e dall'età in cui si è cominciato a lavorare, indicata nelle righe in alto e in basso in ogni tabella. A causa della «finestra mobile» prevista dalla manovra, l'età effettiva di uscita, riportata nelle tabelle, segue di un anno quella in cui si maturano i requisiti. A modificare progressivamente questi dati potrebbero intervenire nel tempo gli adeguamenti dell'età pensionabile all'aumento della speranza di vita.
Per capire come funziona il meccanismo è utile osservare le vicende delle dipendenti pubbliche. Chi è nata nel 1951 ha tre possibilità. Se è entrata in ufficio ventenne, nel 2011 raggiunge i 40 anni di anzianità che le permettono di guadagnare l'uscita senza subire sconti nell'assegno; se la carriera è iniziata più tardi, dovrà invece aspettare per l'assegno di anzianità di raggiungere la «quota» (cioè la somma di età e anzianità contributiva) minima, in crescita dal 95 attuale al 97 che entrerà in vigore nel 2013. Se il suo esordio nel lavoro si colloca dopo i 32 anni, anzianità e vecchiaia coincidono perché raggiungerà i 65 anni (nel 2016) prima di totalizzare la «quota» prevista per l'uscita. In tutti e tre i casi, l'addio effettivo all'ufficio arriva un anno dopo la maturazione dei requisiti.