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Bossi tra intercettazioni e federalismo: «Se il Colle non firma siamo fregati». Il punto di Folli

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 13:02.

Una prima sponda al presidente della Camera era arrivata già ieri quando il leader della Lega Umberto Bossi aveva aperto alla possibilità di modifiche sul ddl intercettazioni. Oggi, però, il Senatur si è spinto oltre incontrando Gianfranco Fini a Montecitorio per discutere del futuro del provvedimento che rischia di alzare ancor di più la tensione interna al Pdl tra i berlusconiani e la minoranza finiana. Alla fine del confronto Bossi detta la linea alla maggioranza: «Bisogna trovare una soluzione tra Berlusconi e il presidente della Repubblica. Se si trova una soluzione si potrebbe andare avanti».

Il rischio, che i fedelissimi del presidente della Camera continuano a tirare in ballo, è chiaro e Bossi lo dice senza troppi giri di parole. «Per trovare una via d'uscita bisogna parlare con il premier e il capo dello Stato, perché se uno non firma sei fregato comunque. Basterebbe sapere quali emendamenti, quale via, su alcune cose si può lavorare». Insomma, per il leader del Carroccio non è ipotizzabile un muro contro muro con l'inquilino del Colle. Anche perché una nuova frattura tra palazzo Chigi e il Quirinale potrebbe mettere a repentaglio anche altre riforme che l'esecutivo vuole condurre al traguardo, incluso il federalismo tanto caro alla Lega.

Occorre dunque dialogare con il presidente Napolitano. Bossi e Fini la pensano allo stesso modo. «Lui come me - prosegue il leader del Carroccio - si rende conto che è inutile andare a testate contro il muro, ti fa male e basta, se c'è un'alternativa si deve trovare. L'ho trovato ragionevole, è uno che ha capito cosa bisogna fare». Anche il Cavaliere, dunque, dovrà rassegnarsi alla linea emersa dal colloquio tra i suoi due alleati. Berlusconi vorrebbe, in verità, procedere celermente alla Camera per arrivare all'approvazione del ddl prima dell'estate, senza modificare il testo licenziato dal Senato. Ma ora l'inedito asse Fini-Bossi suggerisce prudenza e lo costringe a trattare anche con il presidente della Camera.

D'altronde una rottura tra i due fondatori del Pdl nuocerebbe gravemente anche al Carroccioe Bossi lo sa. Per questo lancia un messaggio, nemmeno troppo velato, al suo amico Silvio. «A testa bassa non risolvi le cose - dice il ministro delle Riforme -. Le cose si risolvono se si tratta e si parla». Quanto all'ipotesi di un voto anticipato il Senatur ribadisce che al momento non è opportuno. «Penso e spero di no, il problema è che si può trovare la via d'uscita e la troveremo».

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Spetterà dunque ai pontieri del Pdl, già scesi in campo nei giorni scorsi, riavvicinare il Cavaliere e Fini in modo da individuare una rapida exit strategy. Tanto più che una forzatura sul ddl intercettazioni non solo provocherebbe forse una deflagrazione nel Pdl, ma allontanerebbe anche il leader dell'Udc Pierferdinando Casini. Con cui Berlusconi sta tentando un riavvicinamento. Il numero uno dei centristi ha già chiarito che questo testo non gli piace: un'apertura alle richieste di Fini consentirebbe quindi al Cavaliere di riagganciare anche lui.

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