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Fuochisti contro rigoristi, la sfida della globeconomia

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2010 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 20 luglio 2010 alle ore 08:00.

Nel governo delle società vale una regola: tutto ciò che è semplice è falso, ma tutto ciò che non è semplice è inutile. Il dibattito che si apre su queste pagine tra rigoristi nella politica economica, che privilegiano l'austerità nella spesa pubblica, e fuochisti, che preferiscono gettare carbone in caldaia per spingere la crescita, è al tempo stesso semplice, ingannevole e molto utile.

La principale ragione per cui la semplice alternativa tra tagliare i deficit pubblici e stimolare la crescita è ingannevole è che la soluzione non è unica né certa. Non è unica perché la relazione tra spesa pubblica e aumento del reddito cambia radicalmente a seconda delle condizioni: i livelli del debito pubblico e di quello esterno, dei tassi d'interesse, del prelievo fiscale e la qualità della spesa. Varia anche a seconda dei paesi: per ragioni culturali in Germania, la propensione al risparmio dei contribuenti aumenta al crescere della spesa pubblica neutralizzandone lo stimolo, mentre negli Stati Uniti l'indebitamento viene talvolta percepito come un anticipo del reddito futuro. Non è nemmeno certa: economisti italiani evidenziarono vent'anni fa effetti di stimolo alla crescita delle politiche di rigore fiscale, mentre nel 2009 negli Usa la stima del moltiplicatore (quanto cresce il reddito a seguito di un dollaro di spesa pubblica) variava da due dollari (Rheinart) a zero (Barro).

Semplificare la scelta di politica economica è più che mai rischioso oggi. L'economia globale rischia di frenare nei prossimi sei mesi. Il rapporto della Bce sulla stabilità finanziaria denuncia gli effetti negativi del debito pubblico sulle banche, la cui debolezza limita il credito all'economia e quindi la crescita. Il Fondo monetario sottolinea invece come un aumento della crescita sia indispensabile a evitare l'esplosione dei debiti pubblici. Infine il rapporto annuale della Bri evidenzia i rischi connessi a tassi d'interesse troppo bassi. I margini di manovra per la politica economica, fiscale e monetaria, sono quindi strettissimi e gli errori tanto più gravidi di conseguenze.

Rigore fiscale e crescita dovrebbero dunque rientrare in una cornice di medio termine che renda credibili sia il controllo dei conti sia lo stimolo alla crescita. Per rendere compatibili con la crescita le "strategie di uscita" dalle politiche fiscali e monetarie post-crisi si guarda alle riforme strutturali – il miglioramento del funzionamento dei mercati del capitale e del lavoro – e all'innovazione tecnologica. In questo senso il dibattito comune anche in Italia – perfino all'interno del governo – tra rigoristi e fuochisti dovrebbe spostarsi sul tema delle riforme strutturali, dell'investimento in conoscenza e del funzionamento del paese, compresi gli sprechi delle amministrazioni pubbliche.

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Tags Correlati: Antonella Stirati | Bce | Bri | Germania | Lawrence Summers | Paolo Leon | Politica economica | Pubblica Amministrazione

 

Ma la discussione sulla combinazione tra rigore e stimolo ha un'altra conseguenza straordinariamente utile. I paesi che spingono sulla crescita (Usa e Gran Bretagna) sono quelli che non hanno margini per farlo senza ricadere in gravi squilibri. I paesi in deficit hanno bisogno che a spingere siano i paesi in surplus (tra cui Cina e Germania). È il grande tema del riequilibrio globale.

Se rigore e crescita non saranno scelte in ragione del riequilibrio globale (e di quello intraeuropeo) ci ritroveremo inevitabilmente con minore crescita, maggiori squilibri e nuovi rischi di contagio. Questa è la globeconomia, l'economia al tempo delle crisi globali. Non è semplice, non è facile. Ma tutto il resto è falso.

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