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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 20:01.
«Abbiamo i numeri per andare avanti». All'indomani della rottura con Gianfranco Fini, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in un messaggio inviato ai "Promotori della libertà", mostra sicurezza sul futuro del governo e della legislatura. «Abbiamo ben chiaro - spiega il premier - il programma da completare e, grazie a questa scelta sofferta ma necessaria, siamo nelle condizioni di governare più sereni e nella chiarezza». Il Cavaliere mette l'accento sul superamento delle conflittualità, che dovrebbe consentire all'esecutivo, negli auspici del premier, di lavorare con più determinazione alle riforme: «la grande riforma della giustizia, la riforma fiscale per diminuire le tasse, la riforma dell`architettura istituzionale dello Stato». «Abbiamo promesso agli italiani un paese più moderno, più libero, più sicuro, più prospero, meno oppresso dal fisco e dalla burocrazia. Vogliamo riuscire a realizzarlo entro la fine di questa legislatura». La responsabilità della rottura, secondo il premier, è da ascrivere interamente a Gianfranco Fini e ai suoi uomini: «Hanno provocato loro questa insanabile divaricazione».
Berlusconi respinge al mittente le critiche di illiberalità lanciate da Fini e dai finiani ai vertici del Pdl. Sono il presidente della Camera e quei deputati che l'hanno seguito, sostiene il premier, «a dimostrare di essere lontanissimi dalla nostra cultura liberale. Nello stesso tempo, con il pretesto del diritto di critica - prosegue Berlusconi - hanno cercato di riportare in vita i metodi peggiori della Prima Repubblica, dalla divisione in correnti fino alla mediazione continua che paralizza tutto, e hanno iniettato nel nostro movimento il virus della disgregazione».
Il presidente del Consiglio accusa inoltre Fini e i suoi di aver fatto da sponda «con i nemici», l'opposizione e i giudici, mentre si profilava la grave crisi economica globale, citando l'esempio di Sandro Pertini, che si dimise dalla carica di presidente della Camera nel 1969 per sopraggiunte divisioni politiche all'interno del Partito socialista.
Nel mezzo del duro scontro tutto interno alla maggioranza, le opposizioni chiedono lumi al capo dello Stato con un incontro al Quirinale. Il presidente della Repubblica, pur precisando di considerare «doveroso restare estraneo al merito di discussioni e decisioni interne ai partiti», raccomanda di salvaguardare «la continuità della vita istituzionale nell'interesse generale del paese».