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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 15:24.
Nessun passo indietro a Montecitorio: Gianfranco Fini non ha alcuna intenzione di togliere il disturbo. «Non darò le dimissioni perché è a tutti noto che il presidente della Camera deve garantire il rispetto dei regolamenti parlamentari e l'imparziale conduzione dell'attività e non la maggioranza che lo ha eletto. Chi lo sostiene mostra di avere una logica aziendale modello amministratore delegato consiglio di amministrazione che nulla a che vedere con le istituzioni democratiche». In una sala affollatissima Gianfranco Fini ribadisce così l'intenzione di non voler abbandonare lo scranno più alto di Montecitorio e attacca Silvio Berlusconi e «la sua concezione non liberale della democrazia». (Qui il testo dell'intervento integrale del presidente della Camera, qui i video).
Il riferimento il Cavaliere arriva subito nel suo discorso durato solo 4 minuti e senza possibilità per i giornalisti presenti di porre delle domande. «La concezione non propriamente liberale della democrazia che l'onorevole Berlusconi dimostra di avere emerge dall'invito a dimettermi perché, sempre parole del documento, "allo stato è venuta meno la fiducia del Pdl nei confronti del ruolo di garanzia di presidente della Camera indicato dalla maggioranza che ha vinto le elezioni».
Fini conferma quindi l'intenzione dei suoi di costituire gruppi autonomi alla Camera e al Senato, ma si limita a dire che «daranno vita iniziative per esprimere la loro protesta per quanto deciso ieri dal vertice del partito». E qui arriva la precisazione forse più importante dell'intero discorso. «Sono donne e uomini liberi che sosterranno lealmente il governo ogniqualvolta agirà davvero nel solco del programma elettorale e che non esiteranno a contrastare scelte dell'esecutivo ritenute ingiuste e lesive dell'interesse generale».
Nel suo breve intervento, l'ex leader di An cita poi spesso il documento approvato ieri sera dall'ufficio di presidenza che lo ha "scomunicato". Lo fa esordendo quando ripercorre gli eventi consumatisi ieri sera a palazzo Grazioli. «In due ore - attacca Fini - senza poter esprimermi le mie ragioni sono stato di fatto espulso dal partito che ho contribuito a fondare». E qui la terza carica dello Stato ricorda le accuse mossegli dal principale organo statutario del Pdl. «Sarei colpevole - prosegue Fini ripercorrendo i passaggi clou del documento - di "stillicidio di distinguo e contrarietà nei confronti del governo, critica demolitoria alle decisioni del partito, attacco sistematico al ruolo e alla figura del premier" e inoltre avrei costantemente formulato orientamenti perfino, pensate che misfatto, "proposte di legge che confliggono con il programma elettorale».