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Storia di Nargis, che a Kabul si è data fuoco ed è stata salvata senza volerlo

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2010 alle ore 12:29.

KABUL. Non sarebbe stato nei piani di Nargis Miraqa finire in un letto d'ospedale. Dopo averlo pensato innumerevoli volte, ieri all'alba, ha avuto il coraggio chiudersi in bagno con la bombola del gas per darsi fuoco. L'ha salvata suo marito, il suo aguzzino. Ha sfondato la porta, le ha versato addosso l'acqua. Poi l'ha caricata sul taxi che guida per sbarcare il lunario e l'ha lasciata nel reparto ustionati del centro medico Istiqlal di Kabul.

La versione data al personale ospedaliero per spiegare le ustioni di secondo e terzo grado che ricoprono il 70% del corpo di Nargis, è che si è versata addosso, per sbaglio, il liquido infiammabile, pensando fosse l'acqua per lavarsi. Ma è lo stesso dottor Wazir, direttore del reparto, a raccontare che nei casi di auto-immolazione, quasi sempre le famiglie, tendono a nascondere la faccenda. I 38 anni all'anagrafe di Nargis paiono almeno venti di più. Riesce a parlare solo grazie agli antidolorifici. Le chiediamo perchè non ha provato a farla finita in un modo meno doloroso, ingerendo pillole. Perché non erano a portata di mano né quelle né un cappio, risponde.

Sempre a diposizione degli "angeli del focolare" in Afghanistan, è invece il gas da cucina. I medici sostengono che i casi di auto-immolazione nel paese sono stati mutuati dall'esperienza delle donne iraniane. E che proprio per questa ragione la maggiore incidenza del fenomeno si registra nella zona di confine di Herat. Il primo caso afghano, dice Wazir, risale al 2001.

Tradita dalla vita persino al momento del gesto estremo in cui ha cercato conforto, Nargis trova la forza di parlare della disperazione che l'ha spinta ad agire. «L'ho fatto perché mio marito ha detto che mai mi avrebbe concesso il divorzio. E che mai avrei rivisto i miei figli se lo avessi lasciato. Non perché gliene importi qualcosa di me. Per salvare l'onore». Ricorda anche di essere stata felice, quando ai tempi di Najiubullah, durante il regime filo-sovietico, lavorava nella fabbrica in cui cuciva divise militari. Aveva aspettato a sposarsi oltre i vent'anni, lei che era andata a scuola fino a diciotto. Vedere solo due dei suoi cinque figli poter ricevere un'istruzione è un'altra cosa le ha tolto la voglia di vivere.

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Tags Correlati: Cooperazione | Kabul | Mary Akrami | Nargis Miraqa | Samad Ali | Sanità | Simo Jamdar

 

«I miei figli sono gli unici che non avrei mai voluto lasciare», dice Nargis voltandosi per guardare dritto negli occhi. Avrebbe potuto averne sei, di figli, se solo il marito non l'avesse massacrara di botte durante la prima gravidanza, quando era incinta di otto mesi. Lo racconta tra le lacrime la giovane Simo Jamdar, 24 anni, arrivata al capezzale della donna auto-immolata. È la moglie di suo fratello. Nonostante la differenza di età, è la sua amica del cuore. Sa di essere lì, forse, per dirle addio. «Circa la metà delle donne che arriva in ospedale con ustioni su quasi tutto il corpo, non ce la fa», spiega il dottor Samad Ali. Prima di sparire in sala operatoria con la donna ustionata, allarga le braccia: «Nargis è nella mani di Allah".

I casi di self-immolation, registrati dal ministero per le donne afghano, tra marzo 2009 e marzo 2010 sono centotre. In Afghanistan esistono solo due centri specialistici per ustioni. Quello di Kabul, che offre prestazioni gratuite, è finanziato dalla Cooperazione italiana. La maggior parte delle donne che si auto-immola muore prima di arrivare in ospedale, senza che nessuno lo sappia.

Questo non accade in epoca talebana, ma oggi, sottolinea Mary Akrami, direttrice dell'Afghan women skill development center e fondatrice del primo rifugio per donne di Kabul. Luoghi assolutamente segreti, in cui sono protette donne fuggite con l'uomo che amavano, sottrattesi a un matrimonio forzato, o fuggite da abusi tra le mura di casa, che le famiglie vorrebbero morte. Anche molte ragazzine, incontrate nel centro di riabilitazione giovanile di Kabul, sono in cella per le stesse ragioni. Hanno tra i quattordici e i diciotto anni. Nargis, che si è data fuoco, si porta addosso una ventina d'anni in più. D'infelicità.

NdR. La foto di Nargis Miraqa correlata a questo articolo è stata scattata con il suo consenso.

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