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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 09:25.
«Il web è morto. Lunga vita a internet». Dopo settimane di anticipazioni e discussioni preliminari, è uscito ieri il controverso doppio pezzo di Chris Anderson, direttore di Wired, e Michael Wolff, giornalista di Vanity Fair e fondatore di Newser, un aggregatore di notizie. Si può sorridere del fatto che l'intervento sia uscito sul web, prima che sulla bellissima carta della testata guidata da Anderson.
E si può ironizzare sul fatto che, proprio ieri, sul sito - web - di Newser, campeggiava un banner di OurBlook, con lo slogan «Il giornalismo è morto»: la predilezione per le previsioni allarmanti è generalizzata e non fa prigionieri. In ogni caso, la provocazione di Anderson e Wolff ha una doppia valenza: per gli internettari, la prima parte del titolo attiva l'amigdala, la parte del cervello connessa alla paura, mentre la seconda lancia un po' di dopamina. Perché internet continua la sua corsa innovativa e la campagna per attribuire alla tecnologia TCP/IP il Nobel per la Pace, voluta proprio da Wired, versione italiana.
Ma gli autori osservano che il web sta perdendo quote di traffico rispetto alle altre forme di utilizzo della rete. Sebbene si tenda a dimenticarlo, il web non è che una delle modalità con le quali si usa internet. Il web è un complesso di tecnologie, servizi e contenuti, partiti più o meno 18 anni fa con l'ipertesto di Tim Berners-Lee e il browser di Marc Andreessen: circa 250 milioni di siti e 126 milioni di blog, secondo RoyalPingdom, i negozi come eBay e Amazon, le destinazioni come Wikipedia e Wikileaks, il motore di ricerca di Google e il social network di Facebook. Ma il protocollo internet, molto più antico, è usato anche per la posta elettronica (90mila miliardi di messaggi nel 2009), per lo scambio di file musicali, per vedere la televisione digitale, per telefonare con Skype, per giocare a World of Warcraft, per usare applicazioni con l'iPhone e l'iPad: cose che non si fanno con il web, ma che viaggiano su internet. E che nell'insieme crescono di più del web.
Per Anderson e Wolff, sta vincendo il capitalismo che fa profitti controllando l'innovazione contro l'apertura estrema e ingovernabile del web. Il che avviene perché la rete matura e la sua economia si concentra. Solo il 31% delle pagine viste sul web negli Usa, osserva Wolff citando dati di Compete, erano dei 10 siti più visitati: oggi sono il 75 per cento. La coda del famoso libro di Anderson è sempre lunga, ma la testa si è alzata enormemente.