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Battaglia legale sul caso Melfi

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 08:05.

Alle sette della sera i delegati della Fiom escono dalla caserma dei Carabinieri di Melfi. Per strada non c'è quasi nessuno: la tensione di cinque ore prima davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat sembra svanita assieme al caldo torrido di metà giornata. Ma la calma è solo apparente: i delegati hanno appena presentato una denuncia penale contro l'azienda (la Sata, Società automobilistica tecnologie avanzate, costituita dalla Fiat per produrre nella fabbrica lucana, tra il '92 e il '93).

È l'ultimo colpo di un batti e ribatti durato tutto il pomeriggio, dopo che la Fiat aveva tenuto fede al proposito di non far rientrare al lavoro i tre addetti licenziati per aver bloccato la produzione durante un'agitazione a luglio e reintegrati dal giudice il 9 agosto. Ora Melfi teme di pagare caro un contrasto nazionale che le appartiene poco. I tre lavoratori – i delegati Fiom Giovanni Barozzino e Atonio Lamorte, e il loro collega Marco Pignatelli – si erano presentati all'ingresso B per iniziare il turno, quello delle 14. Li accompagnavano l'ufficiale giudiziario, i carabinieri e, per la Fiom, il responsabile auto Enzo Masini e un legale. Li attendevano alcuni dirigenti Fiat, a loro volta assistiti da legali. Ai tre è stato consentito di varcare i tornelli, ma non di raggiungere il loro posto di lavoro. Si è discusso per quasi due ore, nei pochi metri quadri della portineria. Schermaglie soprattutto procedurali, chiuse col verbale in cui l'ufficiale intima il reintegro alla Fiat. L'azienda ha ribattuto che avrebbe accolto i tre solo nella loro veste di rappresentanti sindacali, facendoli restare nella saletta riservata alle organizzazioni dei lavoratori. Li avrebbe fatti accedere alla mensa quando vi si tengono assemblee. In quegli stessi minuti, la Fiom proclamava un'ora di sciopero, dalle 14 alle 15, cui ha aderito solo il 5,2% dei lavoratori (una settantina). Il dato è di fonte aziendale, ma il sindacato fa notare che non c'era stato il tempo di organizzarsi e afferma che al corteo di protesta indetto poi alle 16 ha aderito metà del personale. Ma le agitazioni non sono finite: a partire dalla notte scorsa ciascun turno avrebbe potuto decidere in autonomia se fare uno sciopero della durata di un'ora.

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Guidi: «Garantire l'ingresso a chi vuole produrre»

«Il nostro è diventato un Paese troppo complicato e anche per questo non si vedono arrivare nuovi

Tags Correlati: Appello | Atonio Lamorte | CGIL | Cisl | Corte di Cassazione | Enzo Masini | Fiat | Fiom | Giuseppe Angeletti | Guglielmo Epifani | Imprese | Italia | Maurizio Sacconi | Pietro Ichino | Sata | Uil

 

Da Torino, una nota ha fatto sapere che l'azienda ritiene di avere gli elementi per dimostrare che il comportamento dei tre lavoratori (oggetto anche di un'indagine penale) ha leso la sua libertà economica e che quindi ha fiducia che il suo reclamo contro il reintegro verrà accolto (l'udienza è fissata per il 6 ottobre). A Melfi, i sindacalisti Fiom hanno commentato che l'azienda continua a parlare di comportamenti scorretti quando invece per ora il confronto giudiziario si gioca sull'antisindacalità del comportamento Fiat. Con questa idea il segretario della Fiom Basilicata, Emanuele De Nicola, ha firmato in serata la denuncia per inottemperanza al provvedimento di reintegro (articolo 650 del Codice penale). Ora la vicenda appare complicata. Innanzitutto dal punto di vista legale, che ormai si svolge sia sul piano lavoristico sia su quello penale. Il mancato ritorno dei lavoratori al loro posto sembra un punto a favore del sindacato: sin dal 1987 (sentenza n. 7733), la Cassazione intende il reintegro come rientro nel ciclo produttivo e così il noto giuslavorista Pietro Ichino ha dichiarato che occorre che il rapporto di lavoro sia ripristinato nella sua interezza. Ma il consigliere di Cassazione Giuseppe Berruti nota che la posizione della Fiat è corretta perché il suo non è un rifiuto della giurisdizione, anche se esprime «una posizione ideologica e molto grave». Sul piano penale, un altro giuslavorista, Gabriele Fava, ritiene che l'articolo 650 sia applicabile ai provvedimenti dell'autorità in generale e non alle sentenze del giudice.

Commenti degli esperti a parte, occorre tener conto che a decidere saranno i giovani giudici di un piccolo tribunale di provincia, che non è certo attrezzato come quello di una grande città industriale.

Ancora più complesso è il fronte "politico". L'assemblea chiesta dalla Fiom è un passaggio delicato, perché – se si farà – sarà un'occasione per contarsi. E nella base qualcuno teme di essere "tradito" dai colleghi. Tanto più che Melfi non è Pomgliano: la forza lavoro non è una comunità compatta, perché non abita attorno alla fabbrica ma proviene da mezza Basilicata (regione di tradizione sindacale non forte) e dalle zone limitrofe. Non a caso, tra lavoratori e delegati sindacali si tende a sminuire l'importanza del blocco all'origine della vicenda, respingendo l'immagine di una fabbrica turbolenta che si sta creando. L'impressione è che Melfi non voglia pagare lo scontro Fiat-Fiom sul modo di organizzare la produzione di auto in tutta Italia.

Politici e sindacalisti lucani sembrano averlo capito e, oltre a stigmatizzare la posizione Fiat, si augurano che la vicenda non fermi progetti e ragionamenti sul futuro di Melfi.

Sul fronte nazionale, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi – pur non entrando nel merito della vicenda – ha detto che c'è un problema generale di relazioni industriali, perché bisogna chiedersi «se è ancora possibile che un picchetto che blocchi l'ingresso di merci, tanto più di una minoranza, blocchi la produzione». Dall'opposizione, Treu (Pd) chiede l'intervento del governo.Il leader Cisl, Raffaele Bonanni, ha invitato la Fiat ad applicare la sentenza «senza cadere nella trappola tesa dalla Fiom, che ha bisogno di alimentare la confusione». Dalla Cgil, Guglielmo Epifani definisce «incomprensibile» l'atteggiamento Fiat, perché lede l'immagine dell'azienda, e auspica uno stop al braccio di ferro. Dalla Uil, Giuseppe Angeletti dice che il vero problema è Pomigliano è attacca la Fiom: «L'idea di far tornare il paese alla lotta di classe è semplicemente patetica».

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