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Tecnologie Social Network

Al colloquio di lavoro parla il social network. Imprese divise sull'uso dei dati personali in rete

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2010 alle ore 08:06.

Ultimi scampoli d'estate. Ancora pochi giorni e si torna in ufficio. Veronica torna a casa dopo una sera pazza con gli amici. Ha voglia di parlare, di condividere le emozioni della serata. Afferra il pc, va in rete e aggiorna il suo profilo su Facebook: «Non ne posso più di aperitivi e di sballi», scrive. A chilometri di distanza Diletta inserisce un dettaglio nella sezione interessi: «Death metal». Melodie molto originali: il metallo pesante in confronto è musica da camera. Veronica e Diletta non si conoscono ma hanno una cosa in comune: entrambe sosterranno un colloquio di lavoro. La prima per entrare in un istituto di credito; la seconda in un'azienda tessile, ufficio contabilità. Fin qui nulla di strano.

Ma se il responsabile della selezione dell'una e quello dell'altra impresa decidessero, tanto per farsi un'idea delle rispettive candidate prima del colloquio preliminare, di mettere il naso nei loro profili, allora i due incontri rischierebbero di saltare. Mentre in Germania è in via di approvazione un disegno di legge per vietare ai datori di lavoro di scandagliare i siti di social network alla caccia di foto o video piccanti (si veda servizio a lato), in Italia sono molti i manager che frenano. Giordano Fatali, presidente di HrCommunity Academy, un network che raggruppa responsabili delle risorse umane e amministratori delegati, ricorda che «se una persona decide di rendere pubbliche certe foto, che riguardano la sua sfera privata, tutti possono fruire di questo materiale, anche, perché no, l'azienda che si trova a promuovere una selezione. Mettere al bando Facebook è una follia». Sulla stessa linea Alberto Balatti, direttore centrale Human Resources di Pride: «In 25 anni di esperienza sono giunto a una conclusione: se vuoi capire veramente chi hai di fronte, le informazioni a carattere professionale che riporta un curriculum non bastano. Nei social network e nei blog guardo a quelle esperienze che vanno oltre i confini della legalità. Tutto il resto non mi interessa. È un prurito che non ho».

L'uso di questi canali, è il leitmotiv di molti responsabili del personale, è utile. Il problema non è di chi indaga ma, al contrario, di chi è così sprovveduto da affidare alla rete certi contenuti. Nicola Pozzati, 42 anni, è il responsabile risorse umane di Emc Computer Systems Italia. «Nel nostro Paese il ricorso a social network, soprattutto LinkedIn e Facebook, per delineare l'identikit del singolo candidato è una prassi abbastanza diffusa - afferma –. Più è elevato il know how informatico dell'azienda, maggiore è la sua predisposizione a intraprendere certe verifiche». Il web è, da questo punto di vista, una miniera di notizie. Attenzione però: il giocattolo può rompersi. «Il rischio che queste informazioni vengano utilizzate in maniera errata esiste – ammette il manager –. Più che saltare del tutto, è alquanto probabile che il colloquio venga influenzato da tutti questi dati carpiti dal profilo del candidato».

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Il candidato migliore? Basta il curriculum

«Please give me a second grace, give me a second face», cantava Nick Drake. Tutti abbiamo il

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Il lavoratore non ha la possibilità di giocarsi fino in fondo le sue carte. I manager propongono due soluzioni. La prima: evitare di pubblicare quei dati che potrebbero, in una maniera o nell'altra, metterlo in difficoltà. Se non desiste, lo fa a suo rischio. La seconda: è la strada dell'autotutela, che appare un po' in salita.

Al candidato spetta l'onere della prova. Dimostrare che il colloquio è stato influenzato dai dati contenuti su un social network non è cosa facile. Servono testimoni. Lo Statuto dei lavoratori - che risale agli anni Settanta mentre questi strumenti si sono diffusi nei primi anni del 2000 - tutela in via generale la libertà di opinione del lavoratore. Un abile avvocato avrebbe difficoltà a far passare la tesi secondo la quale un uso scorretto da parte dell'azienda di questi dati rappresenta una violazione di questa norma.

Una soluzione, spiegano i legali e i consulenti del lavoro interpellati, potrebbe essere estendere il campo d'analisi, e dare vita a uno scudo di regole per la tutela del lavoratore contro l'ingerenza dei nuovi strumenti di comunicazione. Il Codice in materia di protezione dei dati personali è un punto di partenza, a cui si affiancano e si affiancheranno i provvedimenti del Garante.

andrea.carli@ilsole24ore.com

LA DIFESA SU INTERNET
COME CANCELLARE L'IDENTITÀ VIRTUALE
Per rendere inaccessibili le informazioni personali a chiunque il primo passo è la disattivazione del profilo nel social network. L'abbandono definitivo diventa possibile attraverso le impostazione per la gestione della privacy: bisogna cliccare in alto a destra sulla voce “account”, e poi su “account settings”. L'ultima opzione, in basso, è “deactivate account”: impedisce in modo immediato l'accesso ai propri dati personali da parte di altri utenti. Ma non si tratta ancora di una cancellazione definitiva. Occorre attendere alcune settimane per ricevere un messaggio di posta elettronica da Facebook: all'utente viene chiesto se è sicuro di voler abbandonare la rete sociale online per sempre. Soltanto dopo aver confermato la propria volontà, i dati all'interno della pagina personale nel social network saranno eliminati. Da quel momento immagini, aggiornamenti e video vengono cancellati e non sono più recuperabili.

COME EVITARE RISCHI
Per tutelare la riservatezza nel social network occorre ricordare che sono accessibili a chiunque le immagini e i messaggi condivisi con altre persone con la voce “pubblico”. Nel mondo, circa un quinto degli utenti consente libero accesso al proprio profilo. I dati “privati” (indicati da un piccolo lucchetto nella pagina con gli aggiornamenti in tempo reale) sono leggibili soltanto dagli amici nella rete sociale online. Questo vuol dire che per "difendersi" è importante non inserire i dati che si intende tutelare tra quelli pubblici, accessibile a tutti. Più semplice, invece, eliminare un microblog da twitter, la piattaforma che permette di inviare brevi messaggi da 140 caratteri. Alla voce “settings” è possibile selezionare l'opzione “disattiva l'account”, ultima in basso. Appare una pagina per ottenere una conferma definitiva: evidenzia agli utenti l'irreversibilità della procedura. Poi il profilo personale è chiuso per sempre

Amicizie digitali
FACEBOOK
Otto giovani su dieci sono consapevoli di rinunciare alla propria privacy quando comunicano attraverso il social network. Ma sono poco coscienti dell'ampiezza del pubblico che può accedere alle informazioni personali. Un quarto degli iscritti inoltre non sa come gestire le impostazioni per la riservatezza.

TWITTER
Gli utenti usano il social network anche per esprimere opinioni su temi politici e religiosi. Una giornalista libanese della Cnn, Octavia nasr, è stata licenziata dopo aver espresso rammarico per la morte di un leader di Hezbollah. Secondo un sondaggio di eMarketer un terzo delle persone che usano social media dice di non confidare sulla tutela della privacy

FOURSQUARE
Sono social network che permettono agli iscritti di indicare dove si trovano in tempo reale. Ma il dibattito sulla privacy è aperto, soprattutto negli Stati Uniti. Le impostazioni per la riservatezza dei dati personali, per esempio, sono state modificate di recente: adesso gli utenti possono decidere se condividere con altri email e il numero di cellulare.

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