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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2010 alle ore 14:39.
Bill Shaw, 53 anni, ex ufficiale britannico in Afghanistan come contractor per la G4S, compagnia di sicurezza privata addetta alla protezione dell'Ambasciata britannica, padre di tre figli, è finito in carcere a Kabul nel marzo scorso con l'accusa di corruzione. Non avrebbe fatto altro che pagare una multa per farsi restituire un veicolo blindato, sequestrato dai servizi di sicurezza afghani. Ha anche sborsato una penale di 25mila dollari.
Shaw pareva spacciato. I canali della diplomazia britannica non erano bastati a tirarlo fuori dall'inferno sceso in terra del carcere di Pul-e-Charkhi, dove era rinchiuso, al rischio della vita, con detenuti talebani ed esponenti di al-Qaeda. Lo ha tirato fuori dai guai una trentacinquenne togata americana di nome Kimberley Motley, l'unica occidentale che esercita la professione nei tribunali afghani. Kim si presenta in aula in giacca e pantaloni, senza velo, assistita da un'interprete. «Nel caso Shaw ho citato parti del Corano in cui è scritto che chi accusa deve provare il crimine. Insomma esiste la presunzione d'innocenza. Al processo ho insistito che non c'erano prove, né testimoni». L'avvocato Motley non è esperta di Sharia. Il suo asso nella manica è l'Ipad, da cui seleziona e cita quanto richiede la sua linea di difesa.
Arrivata in Afghanistan l'anno scorso con un incarico del Dipartimento di Stato Americano per la formazione nel settore giuridico, Kim ha scelto, dopo pochi mesi di lavorare nei tribunali afgani. «Una volta qui mi sono resa conto di quanto ci sia da fare, del fatto che la fase procedurale viaggi alla giornata». L'esperienza come avvocato d'ufficio nei tribunali di Milwakee dove difendeva fino a 250 casi l'anno, spiega Kim, ex reginetta di bellezza nel Wisconsin, è stata una buona scuola. Come se la cava con la continua richiesta da tangenti e favori, fenomeno diffuso a livello endemico in Afghanistan? «Semplice: non pago». Gli ostacoli maggiori che Kim si è trovata ad affrontare nella sua scelta di fare l'avvocato a Kabul, non sono tuttavia imputabili alle disfunzioni del sistema giudiziario afghano. «Quando ho vinto il caso Shaw non ho ricevuto nemmeno una telefonata di ringraziamento dagli alti ranghi delle rappresentanze diplomatiche a Kabul», rivela Kim, che aggiunge: «Anche se gli uomini afghani sono sciovinisti ho avuto meno problemi con loro che con quelli del mio paese o con altri occidentali qui in Afghanistan».