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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2010 alle ore 12:59.
KABUL - Vivere dietro le sbarre è dura. Eppure molte delle recluse incontrate nelle sole due strutture carcerarie femminili dell'Afghanistan, i penitenziari di Herat e Kabul, si sentono più libere "dentro" che fuori. Per rendersene conto basta ascoltare le ragioni per cui sono state condannate.
A diciannove anni Gulsun è in carcere a Herat. Ha la carnagione scura e grandi occhi neri. Racconta di essere scappata da trafficanti del Baluchistan, cui era stata venduta da suo marito per l'equivalente di quattromila dollari. La polizia l'ha scovata durante la fuga. Il marito l'ha fatta arrestare dicendo che aveva abbandonato il tetto famigliare. Gulsun gli era stata data in sposa quando aveva dodici anni. In un'altra cella c'è Sabar, ventotto, considerata una poco di buono per quel carattere sfrontato e per aver concepito un figlio dopo il divorzio dal marito. I vicini l'hanno denunciata alla polizia perchè sapevano del suo debole per il vino (che si acquista sottobanco in Afghansitan). Trovato il corpo del reato a casa sua, una bottiglia, Sabar è stata spedita in carcere per due anni insieme a sua figlia Nasri di un anno e sei mesi.
Altri casi in cui ci si imbatte nel carcere femminile riguardano donne che sostengono di essere state accusate di omicidio per coprire uomini di famiglia, autori dei delitti. O storie come quella dell'anziana Leyla Obeid, intorno ai 70 anni, in carcere per essersi presa la colpa di un omicidio commesso da suo figlio Juneil. Quello di suo marito, che aveva abusato della giovane Aziza, moglie del ventenne Juneil. Leyla si rammarica solo che il ragazzo sia finito comunque in carcere in quanto complice. Hanno sotterrato insieme il cadavere, poi ritrovato dalla polizia, racconta la donna dietro spessi occhiali da vista, da cui sorride con una punta di soddisfazione. Prima di finire in carcere non aveva mai visto una sala con i computer. Peccato si senta troppo vecchia e illetterata per cimentarsi in qualche sessione di studio. Un'opportunità che invece non si lascia sfuggire Arizo Muhibi, che a diciannove anni sogna di sposare il ragazzo di Herat con cui è fuggita da Kabul. Questa è la ragione per cui è in carcere da un paio di mesi. L'ha denunciata la famiglia. Ma secondo Fahima e Rahimi Jusufi, sorelle di 22 e 23 anni, entrambe avvocato alla prima esperienza, spiegano, a quattr'occhi, che il ragazzo che Arizo sogna da dietro le sbarre, non la prenderà più in moglie. Per una afghana l'esperienza del carcere è un marchio a vita. Le ex detenute finiscono in molti casi per strada a chidere l'elemosina o a prostituirsi.