Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2010 alle ore 08:04.
La metà degli oltre 1.700 posti da professore ordinario e associato banditi nelle università statali italiane, che produrranno circa 3.500 idonei, sono solo «teorici», nel senso che non si possono tradurre nel 2010 in assunzioni effettive; se si guarda solo al grado più alto della piramide accademica, quello degli ordinari, i «bandi impossibili» superano addirittura il 60 per cento.
A bloccare la strada verso la cattedra di quasi duemila idonei non saranno però solo i vincoli di bilancio, su cui si è concentrata in questi mesi l'attenzione dei rettori e della politica. Certo, il crollo del 17,2% del fondo ordinario previsto per il 2011, a cui il governo ha promesso però di mettere mano, non facilita la gestione, soprattutto negli atenei che sono meno attivi nella ricerca di fonti alternative di finanziamento, e sono quindi più dipendenti dall'assegno statale. Nel caso dei concorsi, però, il nodo è un altro.
Il problema nasce con il primo decreto Gelmini, quello del novembre 2008, che per frenare la passione degli atenei per i concorsi da ordinario e associato, ha introdotto il sistema delle quote, nel tentativo di favorire l'ingresso di nuovi ricercatori. All'interno delle possibilità "liberate" dal turn over 2008 e 2009 (gli atenei possono dedicare ai nuovi ingressi una spesa pari al 50% delle cessazioni), almeno il 60% delle assunzioni deve riguardare i ricercatori, mentre gli ordinari non possono superare il 10%.
Il tutto è misurato non in termini di persone ma di «punti organico», un meccanismo che pesa il costo di ogni docente in base al proprio ruolo: con questa modalità, un ricercatore vale la metà di un ordinario, mentre un associato vale il 70%. Da qui il problema: le università, nonostante i cofinanziamenti ministeriali per il primo ruolo docente, hanno bandito pochi concorsi da ricercatore, o troppi posti da ordinario e associato, per poter davvero accogliere tutti. A complicare le cose c'è anche un problema di calendario: i tempi dei concorsi universitari sono infiniti, i posti banditi riguardano le sessioni del 2008, e sono quindi in gran parte maturati prima del tentativo "moralizzatore" firmato da Mariastella Gelmini.
Risultato: solo 11 atenei su 57 sono in regola con entrambe le quote, e potrebbero portare fino alla presa in servizio tutti i concorsi banditi (sempre che non intervengano problemi di bilancio), negli altri, invece, il blocco è obbligatorio. I casi limite sono quelli di Catanzaro e Roma Tre, dove le quote obbligatorie introdotte per decreto chiudono la strada a oltre il 92% degli aspiranti ordinari e associati, ma sono una quindicina le università dove almeno otto posti su dieci dovranno fare i conti con il sistema dei vincoli: tra loro ci sono due politecnici su tre (Milano e Torino), e grandi atenei come la Bicocca di Milano e Salerno. Tra quelli senza problemi vanno invece segnalati Venezia, Trieste, La Sapienza di Roma e la Federico II di Napoli.