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Fini: il Popolo della libertà non c'è più, ora un nuovo patto per proseguire la legislatura

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2010 alle ore 17:16.

Gianfranco Fini certifica la fine del Pdl, ma non rompe definitivamente con Berlusconi. Dal palco della Festa Tricolore, di Mirabello, Ferrara, il presidente della Camera annuncia che «il popolo della libertà non esiste più: c'é il partito del predellino». Il Pdl, aggiunge, é «Forza Italia che si é allargata con qualche colonello di An che ha solo cambiato generale ed é pronto a cambiarlo ancora».

In un discorso durato un'ora e 25 minuti, Fini bolla come un atto «illiberale e autoritario, degno del peggiorr stalinismo» la sua espulsione dal partito decisa «in mia assenza» lo scorso 29 luglio. Tuttavia non annuncia la fine dell'esperienza di governo e non chiede ai suoi fedelissimi, tutti presenti ai piedi del palco, di andare allo scontro con l'esecutivo. «Sosterremo lealmente quei punti che il premier presenterà al parlamento», dice, «ma noi chiederemo, e non dovrà esserci negato, di discutere di come si traducono in realtà i titoli delle riforme».

Il presidente della Camera sottolinea poi la necessità di un «nuovo patto di legislatura», che possa consentire al governo Berlusconi di «arrivare al termine». Un concetto, aggiunge Fini, che «conosce bene anche Bossi». Fini elogia Giorgio Napolitano «un punto di riferimento» e i magistrati «capisaldi delle istituzioni democratiche» e lancia un affondo sulla recente visita del leader libico Gheddafi a Roma: «uno spettacolo indecoroso di un personaggio che non può insegnare nulla nè in tema di rispetto della donne nè su quello della dignità della persona umana».

Su Berlusconi invece il giudizio è più articolato. «Siamo tutti grati al Cavaliere, dice, senza ironia, per quello che ha fatto soprattutto nel 1994 per fermare la «gioiosa macchina da guerra», ma la gratitudine, aggiunge, «non può significare che ogni volta che si indica una strada diversa si incorre in una lesa maestà». «Non ci può essere una lesa maestà perchè non c'è un popolo di sudditi ma di cittadini e il premier non può sempre confondere la leadership con la proprietà».

Fini parla poi di riforme. Per il presidente della Camera la riforma della giustizia va fatta per garantire tutti gli onesti. «Si deve lavorare - dice - per un processo breve ma non è accettabile che poi si chieda la retroattività delle misure». Parlando invece di sistemi elettorali, Fini, affermando di aver cambiato idea, ammette come «sia giusto che gli elettori abbiano il diritto di scegliere i propri parlamentari, perchè è vergognoso che ci sia una lista prendere o lasciare». «Faccio mea culpa - aggiunge - perchè ho contribuito anch'io ad approvarla».

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Sul federalismo, tema caro alla Lega, dice: va bene ed «è possibile, ma solo se sarà fatto nell'interesse di tutta l'Italia, non soltanto per la parte più sviluppata del paese». Vale a dire, che non vada a scapito del Mezzogiorno. E aggiunge: nella commissione bicamerale - che dovrà verificare i decreti attuativi del federalismo fiscale - dovremmo discutere e «non lasciare la discussione all'asse Tremonti-Calderoli».

Per quanto riguarda invece la politica economica, Fini rilancia il quoziente familiare: «se ne discuta, anche con l'opposizione». Fini si dice infine convinto della necessità di un nuovo patto tra capitale e lavoro per rilanciare l'economia italiana. «Il governo - spiega - ha operato bene per fermare la crisi, ma oggi dobbiamo far ripartire l'economia, non ci possiamo compiacere che i conti pubblici tengono». Serve più coraggio perché, conclude, ora «è indispensabile mettere i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata dei lavoratori».


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