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Maroni: pronti al voto anche domani. Bossi: difficile andare avanti. Vertice con Berlusconi

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2010 alle ore 20:57.

«L'ufficio elettorale del Viminale è sempre pronto. Anche per votare domani». A parlare, a margine di una conferenza sull'immigrazione a Parigi, è il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. «Con ieri - sottolinea Maroni - si sono aperti molti scenari come la fine traumatica della maggioranza e un immediato ricorso alle urne». Nelle parole di Fini, ha aggiunto il ministro, «non vedo la possibilità di andare avanti nella legislatura. In ogni caso condivido le parole di Umberto Bossi il quale ha sostenuto che il patto di governo c'è già ed è quello con i cittadini. Se i finiani rispetteranno questo patto si andrà avanti altrimenti l'ufficio elettorale del Viminale è sempre allertato, e può preparare le elezioni immediatamente dopo lo scioglimento delle Camere da parte del presidente della Repubblica».

Il giorno dopo Mirabello, l'offerta di Gianfranco Fini di un patto di legislatura sembra essere stata accolta con grande scetticismo nel Pdl e nella Lega. Il presidente della Camera è finito sotto il fuoco di fila della gran parte della maggioranza che è tornata a chiedergli di lasciare lo scranno di Montecitorio. Per valutare la situazione, il premier Silvio Berlusconi riceverà questa sera ad Arcore Umberto Bossi. E domani a palazzo Grazioli riunirà lo stato maggiore del Pdl.

Proprio Bossi, che ieri poco dopo l'intervento di Fini aveva manifestato tutte le sue perplessità «ad andare avanti così», è tornato oggi ad accreditare l'ipotesi di voto anticipato. «Se Berlusconi dava retta a me e andava alle elezioni, Fini, Casini, la sinistra, tutti questi scomparivano...», ha commentato. Difficile ora fare accordi con Fini?, è stato chiesto al leader del Carroccio: «Mi pare di sì», ha ammesso.

Secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, «Bisognerà andare in Parlamento e verificare se c'è la maggioranza su quei cinque punti del programma che poi è quello in nome del quale sono stati eletti». Bonaiuti ritiene che il Governo porterà il Piano dei cinque punti all'esame del Parlamento «credo a metà della prossima settimana».

Dall'opposizione, Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, ha commentato che «il problema è che il paese non può subire tracheggiamenti». Per Bersani non va bene «il gioco del cerino», perché «ci sono problemi seri di cui la politica non riesce a parlare».

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Lapidario il ministro della Difesa Ignazio La Russa: «Non sono i colonnelli che hanno cambiato generale ma è il nostro generale che ha cambiato bandiera», ha affemato rispondendo alle accuse rivolte da Gianfranco Fini agli ex vertici di An. «Con questo discorso Fini fonda di fatto un nuovo partito che si presenterà, come ha annunciato, alle elezioni amministrative. È evidente che la coerenza e il rispetto delle istituzioni che Fini esige dagli altri dovrebbero portarlo alle dimissioni da presidente della Camera, incarico a cui è stato eletto in tutt'altro contesto politico. È questa la prima prova della serietà dell'uomo».

«No, caro Fini, non puoi giocare a fare il furbo». É il commento invece del leader Idv, Antonio Di Pietro: «O fai l'opposizione o stai al governo. Questo è un discorso uguale a quello che faccio io», dunque «devi fare una scelta. O sei coerente o se ci stai dentro sei complice». Mentre il segretario dell'Udc, Lorenza Cesa, il presidente della Camera ha decretato la fine della pretesa di imporre in Italia il bipartitismo».

Dal Pdl sono arrivate oggi soprattutto richieste a Fini di farsi da parte. «Si pone il tema della compatibilità tra le sue azioni politiche di questi mesi e la sua permanenza alla presidenza della Camera», ha detto il portavoce del Pdl Daniele Capezzone. «Fra i due ruoli c'è una contraddizione evidente della quale egli stesso si deve far carico», ha insistito anche Fabrizio Cicchitto. Ma i finianì sono tornati a respingere la richiesta. «Arrivano con dieci anni di ritardo», ha sottolineato Italo Bocchino, «perchè nel 2001 votarono e votammo Casini, che era leader di partito, allo scranno più alto di Montecitorio».

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