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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 15:12.
«Sono molto dispiaciuto che una mia espressione di gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli». Così il senatore a vita Giulio Andreotti cerca di smorzare la polemica innescata dalle parole di una sua intervista concessa a Giovanni Minoli per il una puntata del programma «La Storia siamo noi», dedicata all'avvocato milanese, che andrà in onda questa sera.
Il Corriere della sera ne ha anticipato in parte il contenuto. È soprattuto la risposta alla domanda sul perché Giorgio Ambrosoli è stato ucciso ad innescare la polemica. «Non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici - dice il senatore a vita - certo è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando». Andreotti ora dice di essere stato frainteso: «Intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto».
Ma le sue parole non cessano di far discutere. Soprattutto perché pronunciate dall'uomo politico che per anni è stato il riferimento di quello che è stato riconosciuto come il mandante dell'omicidio dell'avvocato milanese: il banchiere Michele Sindona. Il senatore a vita ebbe a definirlo addirittura «il salvatore della lira».
Giorgio Ambrosoli, esperto in liquidazioni coatte amministrative, fu ucciso la sera dell'11 luglio 1979 a Milano da un sicario venuto da New York, ingaggiato dal banchiere Michele Sindona che, per il suo omicidio, fu condannato all'ergastolo (insieme a Roberto Venetucci) il 18 marzo 1986. La sua è la storia di un eroe borghese come lo ha definito Corrado Stajano nel suo libro, un 'eroe per casò insignito della medaglia d'oro al valor civile perchè «benchè fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno» e si espose perciò a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all'estremo sacrificio».