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I cinesi di Prato che lavorano giorno e notte ormai dettano legge sul marchio made in Italy

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 14:05.

I cinesi rifanno il marchio della moda "Made in Italy": hanno trasformato Prato in una capitale manifatturiera di fascia bassa, indebolendo la capacità dell'Italia di commercializzare i propri prodotti esclusivamente come capi d'alta gamma. E' quanto scrive il New York Times, in un reportage sul caso Prato pubblicato oggi in prima pagina e in apertura del suo sito web.
L'ampio servizio di Rachel Donadio punta i riflettori su un fenomeno che alimenta risentimento nella cittadina toscana e ha visto di recente un aumento dei controlli della polizia nelle imprese degli immigrati cinesi.

Prato «ospita oggi la più grande concentrazione di cinesi in Europa – alcuni sono legali, molti di più non lo sono», scrive il Nyt. I lavoratori cinesi «lavorano giorno e notte in 3.200 imprese fabbricando vestiti, scarpe e accessori di fascia bassa, spesso con materiali importati dalla Cina, per venderli a metà prezzo a dettaglianti di fascia bassa nel mondo intero». Ciò è stato favorito dal fatto che in Italia ci sono «istituzioni deboli e alta tolleranza per chi infrange le regole», osserva il quotidiano statunitense. Così i cinesi hanno offuscato la distinzione tra "Made in China" e "Made in Italy". Ma quello che più irrita gli italiani è che i cinesi «li battono al loro stesso gioco, l'evasione fiscale e i modi brillanti per navigare attraverso la complessa burocrazia italiana, e hanno creato un nuovo fiorente settore, anche se in gran parte sommerso, mentre molte aziende pratesi non ce la fanno».

E' l'ascesa del "pronto moda". I cinesi di Prato mandano in Cina, secondo la Banca d'Italia, 1,5 milioni di dollari al giorno, in gran parte proveniente dal settore del tessile e dell'abbigliamento. Utili di quelle dimensioni – si legge - non compaiono nelle dichiarazioni fiscali. Secondo alcuni funzionari locali, i cinesi preferiscono rimpatriare gli utili invece di investirli in loco. Le autorità – continua il quotidiano - dicono anche che la criminalità organizzata cinese e probabilmente italiana è in aumento, non solo per quanto riguarda le importazioni tessili illegali, ma anche il traffico di persone, le scommesse e il riciclaggio.

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Tags Correlati: Andrea Frattani | Banca d'Italia | Cina | Ding Wei | Europa | Guess | Luma | Marchi e brevetti | Nyt | Rachel Donadio | Roberto Cenni | Wen Software

 

«Il resto dell'Italia guarda con attenzione» quello che succede a Prato, nota il Nyt.
Le tensioni sono aumentate: questa primavera le autorità hanno intensificato le incursioni nei laboratori che usano manodopera illegale, in giugno sono state controllate 100 aziende e arrestate 24 persone.

Il distretto di Prato sarà sull'agenda del Primo Ministro cinese Wen Jiabao, quando visiterà Roma in ottobre. Nel settore dell'abbigliamento, il numero di imprese italiane registrate a Prato si è dimezzato dal 2001 ora sono poco meno di 3.000. Duecento in meno di quelle di proprietà di cinesi. Prato, che un tempo era un importante produttore ed esportatore di tessuti, ora rappresenta il 27% delle importazioni tessili italiane dalla Cina. Su una popolazione totale di 187mila persone, Prato conta 11.500 immigrati cinesi legali, ma secondo le stime la città ha altri 25mila immigrati clandestini, in maggioranza cinesi.

Il cuore del "pronto moda" è nell'area industriale di Macrolotto, piena di grossisti cinesi. Rivenditori al dettaglio provenienti da tutta Europa riempiono i furgoni di abbigliamento "Made in Italy" per rivenderlo nel loro paese con un forte margine di guadagno. «Comprano in quantità relativamente piccole approfittando delle frontiere fluide dell'Unione europea e la maggioranza di loro evita di pagare dazi d'importazione».

Tra le imprese che lavorano a Prato il Nyt cita la Luma, fondata nel 1998, che produce "on demand": il titolare, Li Zhang said, afferma di avere esportato vestiti in 30 paesi, compresi Cina, Messico, Venezuela, Giordania e Libano. Ha venduto I suoi prodotti a Piazza Italia e a grossisti che hanno poi venduto a Zara, Mango, Top Shop e Guess.

Nel 2009, per la prima volta nel dopoguerra Prato ha eletto un sindaco di destra, Roberto Cenni. La sua campagna, nota il quotidiano, si è basata sulle paure dell'invasione cinese.
Il sindaco ha intensificato i raid verso le imprese cinesi. Nella prima metà di quest'anno, le autorità hanno fatto blitz in 154 imprese di proprietà cinese. Vari funzionari dell'ufficio immigrazione della polizia di Prato sono stato arrestati con l'accusa di avere preso tangenti in cambio di permessi di soggiorno.

Secondo Andrea Frattani, assessore al welfare della precedente amministrazione di centrosinistra, a Prato si sta assistendo a una "precisa strategia" del governo cinese di creare un punto d'appoggio economico in Europa. Alla domanda se sia così, l'ambasciatore cinese in Italia, Ding Wei, ha risposto di avere inviato dei consulenti a indagare e che la questione di Prato non dovrebbe avere impatto sulla cooperazione tra i due paesi.

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