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Meno stato, meno tasse, più libertà. Anche l'Italia ha il suo Tea Party

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2010 alle ore 18:10.

L'onda lunga del Tea Party americano ha attraversato Atlantico e Pacifico e ha stimolato, dall'Europa al Giappone, la nascita e la crescita di movimenti analoghi, che prendono linfa e ispirazione organizzativa dal modello a stelle e strisce. In Italia, qualche mese fa, un gruppo di giovani pratesi tra i 25 e i 30 anni, appassionati di politica americana e di temi economici, ha dato vita a un Tea Party nostrano, grazie all'iniziativa di David Mazzerelli e all'esperienza accumulata nella confezione della rivista telematica ultimathule.it.

"Io ho soltanto dato il la", racconta Mazzerelli al Sole 24 Ore.com. "Sono appassionato di politica americana da sempre e ho visto che negli Stati Uniti, un paese che è molto più libero del nostro a livello economico, milioni di persone andavano in piazza. Allora mi sono chiesto come mai da noi non avveniva nulla del genere e si continuava a parlare soltanto di gossip. Ma nessuno ci dava ascolto". Quindi il gruppo pratese ha avviato autonomamente il Tea Party Italia, organizzando un incontro nella propria città.

"Da allora – dice Mazzerelli – ci hanno chiamato moltissime persone, anche importanti – che hanno voluto partecipare alle successive ‘tappe' organizzate dal Tea Party". Il movimento partito da Prato ha già patrocinato eventi ad Alessandria, Aversa, Forte dei Marmi, Torino. Il 2 ottobre è in agenda un appuntamento a Catania e l'11 si terrà a Milano il primo Tea Party nazionale, in occasione della European Liberty Conference in programma all'Università Bocconi. "Abbiamo ricevuto chiamate e mail da imprenditori, madri di famiglia, professionisti, politici locali che vogliono che si organizzi nella loro città un evento analogo. Per i prossimi mesi abbiamo già un calendario fittissimo di eventi in tutta Italia", spiega Mazzerelli.

Il Tea Party Italia si concentra esclusivamente sui temi economici e fiscali, al contrario di quanto avviene Oltreoceano. "Noi non trattiamo i temi etici; per ora siamo abbastanza pochi in Italia e se ci dividiamo anche tra conservatori, libertari, liberisti… Pensiamo che tutti dobbiamo essere uniti dai temi fiscale ed economico. Meno Stato, più libertà e meno tasse: questo è il filo conduttore che si rivolge a persone di destra e di sinistra, a liberali, libertari, conservatori, a persone di buon senso e buona volontà che vogliano adottare questo spirito. Sui temi etici abbiamo posizioni diverse al nostro interno, ma per ora non sono prioritari nell'agenda del Tea Party Italia".

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Tags Correlati: Banca d'Italia | Bocconi | Bruno Leoni | Carlo Stagnaro | David Mazzerelli | Forte dei Marmi | Glenn Beck | Leonardo Facco | Oceano Pacifico | Parties | Partiti politici | RAI | Ronald Reagan | Silvio Berlusconi | Tea Party

 

Mentre i teapartisti americani hanno decisamente inciso nelle primarie repubblicane in vista delle elezioni di novembre, i loro omologhi italiani valutano a distanza eventuali sponde politiche. Mazzerelli cita Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni: "Stagnaro ci ha detto che quello che gli piace del Tea Party Italia è che dialoghiamo con tutti e non siamo alleati di nessuno. All'inizio – continua Mazzerelli – certi giornali ci avevano definiti finiani, perché ora in questo paese se si va contro Berlusconi si è automaticamente definiti finiani; poi abbiamo invitato Capezzone al dibattito di Forte dei Marmi e allora ci hanno preso per berlusconiani; dopo la manifestazione di Glenn Beck (anchorman della Fox, protagonista del Tea Party americano, ndr) ci hanno dato degli estremisti di destra. Insomma, cercano di attaccarci delle etichette".

Il Tea Party Italia tiene però a presentarsi come un movimento inclusivo che si rivolge a chiunque voglia ascoltare. Cittadini comuni, ma anche esponenti dei partiti. "Se vogliono partecipare alla nostra battaglia politici che la condividono, di entrambi gli schieramenti, saremo ben felici di supportarli, di invitarli e di dar loro una mano", assicura Mazzerelli.
L'economista Alberto Mingardi, direttore dell'Istituto Bruno Leoni, apprezza il Tea Party Italiano e le altre esperienze europee analoghe: "È molto significativo ed è una cosa molto buona il fatto che ci sia stato un po' ovunque in Europa e non soltanto in Italia un tentativo di associare dei gruppi spontanei di persone che si riferiscono a un movimento assolutamente spontaneo e acefalo". Ma non nasconde al Sole 24 Ore.com le sue perplessità. "Trovo poco probabile che queste iniziative abbiano impatti paragonabili a quello che hanno avuto in America, perché il nostro sistema politico è molto diverso", spiega Mingardi. Tra l'altro negli Stati Uniti c'è stato "un fatto scatenante che per fortuna noi non abbiamo avuto: l'ondata di bail out. Durante la crisi, in Italia non abbiamo visto un cambio di passo simile, pur a fronte di una storia da Stato interventista. Quindi da noi non c'è stato un evento scatenante, un catalizzatore", dice Mingardi.

E poi è necessaria una chiarificazione, visto che il Tea Party americano è un movimento di massa, non un movimento culturale. Per riprodurne il modello bisognerebbe cercare di uscire dal dibattito eminentemente intellettuale per mobilitare persone "normali che magari leggono il quotidiano due volte a settimana. È vero che i Tea Parties americani non sono la massa di rozzi e ignoranti che qualcuno pensa. Ad esempio, ho visto una bellissima foto di una manifestazione in cui una signora mostrava un cartello con scritto ‘Read Thomas Sowell', che in Italia suonerebbe come ‘Leggete Alessandro Penati'. Ma, detto questo, si tratta di un movimento di persone che si mettono le scarpe da ginnastica, si caricano lo zainetto sulle spalle, montano uno striscione ed esprimono con questa forma di partecipazione la loro insoddisfazione. Insomma, non si tratta di presentazioni di libri, che sono cosa degnissima ma sono altra cosa".

Mingardi è scettico sulle possibilità che in Italia si riesca a trasformare il Tea Party da stimolo per il dibattito delle idee a mobilitazione di massa, "ma forse un'opportunità per un movimento del genere c'è: ci sarà stata della gente in Italia che credeva davvero, negli anni Novanta, che si dovessero abbassare le tasse. Beh, quella gente non può mica essere tutta morta nel corso degli ultimi anni!". Però in Italia ci sono state ben poche mobilitazioni di massa di questo tipo. "Il Tea Party è un po' come la vecchia maggioranza silenziosa – suggerisce Mingardi – In Italia si ricordano la marcia dei 40.000 e, più in piccolo, la marcia contro il fisco del 1986 perché sono stati forse gli unici episodi in cui qualcosa del genere è avvenuto fuori dei partiti. Ma nel primo caso, anche se non c'erano i partiti, c'era la prima impresa italiana e quindi le risorse di mobilitazione erano molto sedimentate e molto forti. Nel 1986 fu invece una cosa effettivamente straordinaria quanto a partecipazione, però l'iniziativa nacque e morì lì".

Sull'eventualità che il Tea Party possa trovare sponde nei partiti italiani oppure influenzarli Mingardi è chiarissimo: "In America all'interno dei collegi elettorali i Tea Parties appoggiano persone che si prendono una serie di impegni, i cui termini si trovano sul sito contractfromamerica.org, e mobilitano elettori affinché quelle persone vengano elette a novembre. Il punto cruciale è quel tentativo di azione politica che i teorici del Tea Party chiamano ‘un'opa ostile sul Partito repubblicano'. In Italia non si può fare; il partito di destra non è contendibile perché è di una persona, il partito di sinistra non è contendibile perché è di un gruppo dirigente che, alla fine, è lo stesso da vent'anni".

Editore, giornalista e amministratore delegato del Movimento libertario, Leonardo Facco ha partecipato come ospite ai primi due eventi del Tea Party Italia. Pur apprezzando l'iniziativa, Facco, parlando con il Sole 24 Ore.com, sottolinea l'importanza di introdurre azioni concrete. "Andare in giro per l'Italia a proporre le idee del Tea Party americano va bene, è educazione culturale e io, che faccio l'editore, la apprezzo. Ma questo è un paese profondamente malato e lo sappiamo tutti, quindi limitarsi a dirlo non serve. Occorre un'azione, mirata, interessante, intelligente, pacifica, ma eclatante. Come ho detto a Forte dei Marmi – continua Facco – importare il Tea Party in Italia deve essere per forza legato a un'azione concreta. Non bastano le conferenze, a cui tra l'altro vanno politici che tutto vogliono tranne il cambiamento. Bisogna fare azioni più popolane".

L'a.d. del Movimento libertario conosce le difficoltà di importare in Italia, e adattare al nostro contesto, iniziative ispirate da quanto avviene altrove ("Un po' come quando il governatore di Bankitalia dice ‘Bisogna fare come la Germania!'. C'è un problema: mancano i tedeschi. E non è cosa da poco…"). Peraltro Facco è convinto che l'Italia non sia riformabile attraverso la politica, mentre "la cultura anglosassone è diversa. Nel 1980 spunta Ronald Reagan che, nel bene o nel male, prende l'America e la rivolta come un calzino dal punto di vista economico".

In Italia nel 1994 è spuntato Silvio Berlusconi. "Ecco, Berlusconi è l'esempio della irriformabilità della politica", afferma Facco. Il premier periodicamente parla di rivoluzione liberale, "continua a raccontare questa panzana, che ha annunciato per la prima volta nel 1994 e tutti stiamo ancora aspettando questa rivoluzione liberale. Ma, analizzando quanto è avvenuto in questo paese dal '94 a oggi, ci si accorge che la pressione fiscale (io sono autore di un libro intitolato ‘Elogio dell'evasione fiscale', quindi mi sono occupato del tema alla grande) è ormai vicina al 70 per cento, la burocrazia è solo peggiorata, la corruzione è diventata devastante, la meritocrazia non esiste, la mobilità sociale di tipo verticale è retrocessa al periodo pre guerra mondiale".

Per aiutare il Tea Party a uscire dal circoscritto mondo dei dibattiti culturali e a essere più efficace, Facco consiglia di seguire la strada percorsa dal suo Movimento libertario: "Noi siamo un movimento politico che non si candiderà mai, che ma fa azione politica in maniera molto incisiva. Abbiamo due battaglie in corso, per cui ci siamo autodenunciati. Una è una forma di resistenza fiscale, contro il sostituto di imposta: un nostro imprenditore, ad esempio, dà tutti i soldi in busta paga ai dipendenti. Un'altra è una forma di disobbedienza civile: la semina di mais ogm".

Secondo Facco anche il Tea Party Italia dovrebbe intraprendere analoghe iniziative concrete, capaci di farlo uscire dalle ristrette cerchie degli appassionati di politica americana e di idee economiche liberiste e libertarie. Al proposito, è prodigo di suggerimenti: "Si potrebbe pensare a una battaglia legata al canone Rai, oppure agli scontrini, che si diceva dovessero essere aboliti 15 anni fa, oppure a una battaglia su un'imposta assurda di qualsiasi altro genere, visto che, tra imposte, tasse, gabelle e accise, ne abbiamo quasi duemila. In alternativa, si potrebbe anche innescare un'azione di resistenza fiscale di altro tipo, come presentare la dichiarazione dei redditi e, se si devono pagare, ad esempio, 10.000 euro di tasse, pagarne soltanto 9.950 o 9.980".

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