Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2010 alle ore 08:37.
Renato Schifani dice no: la legge elettorale resta a Palazzo Madama. A due giorni dalla missiva inviatagli da Gianfranco Fini, nella quale il presidente della Camera sottolineava l'opportunità di lasciare a Montecitorio il compito di discutere le proposte di modifica del porcellum, la risposta che arriva da Schifani è perentoria: la commissione Affari costituzionali ha già cominciato l'esame quindi il confronto deve proseguire al Senato.
Una motivazione che Fini definisce «ineccepibile», anche se, conversando con i suoi, non nasconde che la questione, più che istituzionale o regolamentare, è in realtà «politica» perché «risulta difficile pensare – secondo Fini – che il Senato manderà davvero avanti la legge elettorale». Insomma, il sospetto (neppure tanto velato) in casa finiana è che si voglia affossare il dibattitto sulla legge elettorale e soprattutto l'eventuale (e non improbabile) concretizzarsi di una maggioranza alternativa Fli-opposizione. Un botta e risposta al limite dello scontro istituzionale che deflagra ben oltre gli uffici dei presidenti di Camera e Senato e che segnala ancora una volta la tensione continua all'interno della maggioranza.
«Fini ha pronunciato giudizi abnormi sul Parlamento», tuona il berlusconiano Osvaldo Napoli, secondo cui il presidente della Camera ha trasformato «l'aula di Montecitorio in un bivacco di manipoli». Controreplica del finiano Carmelo Briguglio, che, nel difendere Fini, colpevole solo di aver posto «una questione politica», rilancia: «Nessuno creda di trasformare il Senato in un luogo di arroccamento rispetto alla necessità di una nuova legge che deve restituire la sovranità agli elettori».
Anche l'opposizione ci mette del suo. Anna Finocchiaro (Pd) punta l'indice sui due presidenti che «schierati su posizioni diverse e in evidente conflitto politico» a conferma che «maggioranza e governo non stanno più in piedi. A raffreddare il clima ci pensa Pierferdinando Casini che ancora una volta non disprezza l'ironia. «Mi conforta – dice il leader dell'Udc – l'insistenza del Senato sulla legge elettorale: vuol dire che c'è l'esigenza da parte di tutti, di superare quella attuale». In realtà il Pdl non alcuna intenzione di modificare il porcellum. Anche perché tutti sono convinti che sia solo un «pretesto» per costruire una maggioranza alternativa. A dirlo esplicitamente è la Lega con Roberto Maroni, che però ritiene il progetto fallimentare: «La verità è che non solo non c'è una maggioranza su una legge elettorale, ma all'interno degli stessi partiti ed anche del Pd ci sono posizioni diverse».