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Franceschini, il Pd non può regalare alla destra le sue divisioni

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2010 alle ore 19:21.

CORTONA - Non cita mai Walter Veltroni, ex compagno di strada con cui ha condiviso l'esperienza di Area democratica. Ma dice con chiarezza che le divisioni hanno fatto male alla minoranza interna e anche al Pd. E ora, da Cortona, dalle montagne aretine in cima alle quali ha riunito coloro che non hanno seguito l'ex segretario, Dario Franceschini prova a rilanciare il suo progetto. Il Pd, avverte, «deve essere unito» non può «regalare alla destra le sue divisioni».

Poi rivolge un messaggio ai firmatari del manifesto Veltroniano. «Ci dispiace – dice - che ci siano 75 parlamentari che hanno firmato un documento su un'idea diversa rispetto alla nostra. Noi abbiamo promesso alle primarie che dopo il congresso il partito sarebbe stato unito. Loro vogliono un maggiore scontro, una conflittualità interna maggiore. Noi rispettiamo quella scelta, di cui non é il momento per parlare. Ma vorrei - dice agli aderenti ad Areadem - che ognuno di voi tornasse a casa nella consapevolezza che noi proseguiamo con la scelta assunta alle primarie». Dunque Franceschini non intende trasgredire l'impegno sottoscritto dopo la sconfitta nelle primarie: quello di collaborare lealmente con chi le elezioni interne le ha vinte. «Se c'è un disastro nel partito – aggiunge - e si vorrebbe un modo diverso di operare, noi lavoriamo non per denunciarlo sui giornali ma per correggerlo. Sappiate - dice ancora Franceschini- che se c'è bisogno di tutelare le minoranze nei circoli in giro per l'italia, la risposta è la nostra presenza nel partito piuttosto che quella di scannarsi sui giornali».

Una indicazione chiara, però, Franceschini la rivolge anche al segretario del Pd, Pierluigi Bersani quando puntella il fronte delle alleanze. «C'è una cosa che sta nascendo, il terzo polo ed è bene che cominciamo a fare i conti con questa realtà. Su regole, legalità, mobilità sociale possiamo trovare dei punti d'incontro. È bene che cominciamo a guardare in quella direzione». Il capogruppo del Pd alla Camera lo dice insomma senza troppi giri di parole. Le alleanze vanno fatte «con chi condivide le sfide di cambiamento. Non si può pensare - aggiunge il leader di Area Dem - a prospettive di alleanze con Diliberto e Grillo. Bisogna fare anche battaglie di contenuto e cominciare a lavorare per un centrosinistra europeo».

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Quindi Franceschini volge lo sguardo a Nichi Vendola, che oggi ha riunito a Firenze la sua formazione, per sottolineare che è «positivo che lui abbia detto che, senza pregiudizi, bisogna guardare in quella direzione». Le alleanze, insomma, vanno fatte attorno a principi e programmi chiari «non con Grillo, Diliberto o Ferrero», ma con chi, rimarca ancora Franceschini, è disponibile ad accettare le sfide poste dal cambiamento e a lavorare attorno a tre parole chiave «che possono diventare altrettante rivoluzioni: regole, merito e mobilità».

Ed è proprio affrontando quest'ultimo tassello che il leader di Areadem lancia forse il messaggio più forte di questo appuntamento. «Sergio Marchionne – sottolinea Franceschini - ha proposto al paese una sfida alla quale non ci si può sottrarre. Lo ha fatto da industriale, da uno che tutela la sua azienda, ma ha posto un problema reale: quello di come fanno le aziende a restare attrattive in un mondo globalizzato difendendo senza intaccare i diritti dei lavoratori. Io propongo a voi e al Pd che si risponda con la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'impresa. Non deve essere un tabù per la sinistra». Non lo è al punto che il numero uno di Area democratica rompe per un attimo il filo del discorso e legge con estrema attenzione l'articolo 46 della Costituzione «uno degli articoli inattuati – chiarisce – in cui c'è la strada migliore per affrontare il capitalismo».

Quindi un pensiero a Silvio Berlusconi e al declino del modello da lui proposto. «Lui è il vuoto pneumatico, è la Lega il vero cervello del centrodestra». Ma attenzione, avverte Franceschini, «ci aspettano mesi difficili» perché «potremmo assistere a pericolosi colpi di coda. Più calano i sondaggi e più si avvicina la fine, più saranno insidiosi i colpi di coda. Questa legislatura era iniziata con ingredienti sufficienti per rilanciare l'Italia: la stabilità di governo con una coalizione di soli due partiti e un capo assoluto. Ma l'assenza di un disegno politico ha portato dopo più di due anni al crollo di Berlusconi da un punto di vista di Governo - solo annunci e leggi tampone sulla crisi - ma anche da un punto di vista politica dato che il Pdl si è scisso dopo due anni». Il presidente del Consiglio, continua, «potrebbe tentare un ultimo colpo di coda: andare alle elezioni con questa legge elettorale. Dobbiamo essere pronti a questa evenienza».

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