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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2010 alle ore 06:37.
Nel 2008 la Corte di giustizia europea ha ritenuto che l'accesso anticipato, rispetto ai colleghi maschi, delle lavoratrici pubbliche al trattamento pensionistico liquidato dall'Inpdap rappresentasse una discriminazione contraria al principio della parità di retribuzione tra uomini e donne, principio sancito dal trattato Ce (articolo 141). Secondo la quarta sezione della Corte di giustizia, che il 13 novembre 2008 ha deciso la causa C-46/2007, la pensione Inpdap è versata direttamente dallo Stato, quindi non ha natura previdenziale ma retributiva.
A nulla ha rilevato la posizione sostenuta dall'Italia: il regime pensionistico è disciplinato dalla legge e persegue l'obiettivo di politica sociale in parallelo alle regole vigenti per il settore privato. Più in particolare il sistema pensionistico Inpdap, proprio dei dipendenti pubblici, ha – al pari del regime Inps – una valenza generale che ne rende possibile la qualificazione come regime legale piuttosto che professionale.
Richiamando la giurisprudenza precedente, la Corte ha ritenuto invece che il sistema delle pensioni dei lavoratori del pubblico impiego dovesse qualificarsi come regime professionale, in quanto interessa soltanto una categoria particolare di lavoratori, è in funzione diretta degli anni di servizio prestati e l'importo del trattamento è calcolato in base all'ultimo stipendio del dipendente pubblico. Poiché le prestazioni pensionistiche dell'Inpdap vengono corrisposte dall'ex datore di lavoro a motivo di un rapporto di lavoro ormai concluso, a questi trattamenti la Corte ha riconosciuto natura retributiva senza che lo Stato italiano potesse invocare la deroga, contenuta nella direttiva 79/7/Cee del 19 dicembre 1978 del Consiglio, per la graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale. Questa deroga, infatti, consente agli Stati membri di mantenere dei limiti di età diversi tra uomini e donne per la concessione della pensione erogata a titolo di protezione contro i rischi sociali.
Dopo la sentenza della Corte Ue l'Italia ha previsto, con la legge 122/2010, che dal prossimo anno le donne del pubblico impiego andranno in pensione di vecchiaia a 61 anni; dal 2012 il requisito salirà a 65 anni.