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Commenti e Inchieste

La lunga attesa di un miracolo e la crisi di un paese che non può più attendere

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2010 alle ore 08:27.
L'ultima modifica è del 13 dicembre 2010 alle ore 06:45.

«Se domani sera torneremo alle nostre abitazioni con la maggioranza in entrambe le Camere vorrà dire che in queste settimane abbiamo fatto un miracolo». L'osservazione di un ministro vicino a Silvio Berlusconi denota le tante incertezze di un voto, come quello di domani, da cui dipende il futuro della legislatura.

Toccherà al presidente del Consiglio, oggi, trovare le parole giuste perché il miracolo si compia davvero. E non basteranno gli impegni molto profani con i quali Silvio Berlusconi proverà a convincere uno per uno i deputati ancora alla finestra. Quelle offerte serviranno, forse, a strappare una fiducia per uno-due-tre voti. Non certo a rilanciare davvero un governo e una maggioranza che hanno bisogno di rinnovarsi e rigenerarsi profondamente, se vogliono raggiungere la meta del fine legislatura in modo utile per il paese. Eccolo il vero miracolo che si dovrà compiere. Dimostrare di avere ancora un programma di riforme tale da poter rilanciare l'economia e la società italiane; e di disporre di una strategia politica che possa restituire a questa maggioranza, o a una maggioranza rinnovata, la forza di attuare quel programma.

Vaste programme, si direbbe. Soprattutto se si considera il poco, non pochissimo, che è stato fatto nei primi due anni e mezzo di legislatura (si veda l'inchiesta in queste pagine) malgrado la straordinaria maggioranza di cui il governo disponeva; se si guarda alla crescente stanchezza e insofferenza con cui il presidente del consiglio sembra guardare al mestiere - a volte effettivamente incomprensibile, ma necessario - della politica; se si guarda alla crisi profonda del sistema politico, che ha bruciato in poche decine di mesi quella benefica semplificazione che aveva caratterizzato le elezioni del 2008. Nell'incerto voto di domani non c'è solo l'estrema difficoltà di un governo e di una maggioranza, c'è la crisi di una fase della storia del paese che si è voluta chiamare illusoriamente "seconda repubblica". Il fallimento di un ventennio che, dopo gli anni di tangentopoli, non ha saputo lanciare verso il futuro le gittate di un sistema nuovo, in grado di dare un riferimento stabile alla società, all'economia, alla politica liquide del XXI secolo. Perciò chiunque dovesse vincere domani non potrà limitarsi a tirare a campare, non potrà accontentarsi di scelte "piccole" e ordinarie. Che sia l'alleanza Berlusconi-Lega a spuntarla, oppure che siano Gianfranco Fini e le opposizioni, deve essere chiaro a tutti che da dopodomani niente potrà essere più come in questi (almeno) ultimi quattro anni.

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I supporter dei rispettivi partiti scesi in piazza in questi due giorni non ingannino. C'è un'Italia sempre più delusa che chiede di essere governata. Ci sono giovani che vogliono potersi misurare alla pari con i loro coetanei europei, imprese che aspirano a competere senza tutte le zavorre che ne frenano la corsa, donne e uomini che vogliono provare a giocarsi il proprio futuro nel mondo. La risposta, per loro, non può essere nel voto a favore o contro questa maggioranza di un Catone o di uno Scilipoti, come ieri era Turigliatto. Serve uno scatto. Riforme economiche, sociali, istituzionali. Inutile fare l'elenco della spesa. È una lista nota: università, formazione continua, regole del lavoro, fisco amico, meno burocrazia; eppoi governi che vengano messi nelle condizioni di governare, leggi elettorali in grado di formare maggioranze coese e in alternanza tra loro, federalismo solidale.

Non c'è un programma da inventare. C'è un programma, stranoto, da attuare. E allora la reale cartina di tornasole per capire se domani il miracolo - per l'Italia - si sarà davvero compiuto sarà in una verifica: quella della capacità di chi avrà vinto di favorire, finalmente, un profondo rinnovamento generazionale della politica italiana. Il mondo non cammina nel XXI secolo con gli uomini del Novecento. Barack Obama 49 anni, David Cameron 44, Josè Zapatero 50, Nicolas Sarkozy 55, Angela Merkel 56. Il confronto è impietoso con i nostri leader. Il giudizio storico su chi ha guidato l'Italia in questo ventennio, dal centro-destra o dal centro-sinistra, si baserà anche sulla sua capacità di dare il via al passaggio di testimone.

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