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Prove di asse delle «potenze emergenti» tra la Cina e l'India (che però guarda soprattutto all'America)

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 dicembre 2010 alle ore 15:48.

Sarebbe bene seguire con attenzione quanto va accadendo di questi tempi a New Delhi, nuova calamita geo-strategica. La "Shining India", l'India splendente degli slogan pubblicitari corroborati da una robusta crescita che ormai orgogliosamente tallona quella cinese, nel nuovissimo terminal dell'aeroporto internazionale Indira Ghandi continua a stendere tappeti rossi ai grandi della terra: nel giro di un mese il presidente Usa Barak Obama, il premier inglese David Cameron e, lo scorso week-end, il presidente francese Nikolas Sarkozy.

Ora è il turno del premier cinese Wen Jiabao, accompagnato da 400 businessman. Tra tutte forse la visita più significativa, certo non solo per i 20 miliardi di dollari di contratti attesi come bottino d'affari a vantaggio di entrambe le economie e di big corporation del peso della cinese Huawei o dell'indiana Reliance. A riprova, il prestigioso Indian Council for World Affairs (Icwa), la Chatham House indiana, ha annunciato che per la prima volta trasmetterà in diretta web il discorso che Wen pronuncerà nella sua sede dopo gli incontri con il premier indiano Manmohan Sing. Così non è stato per l'americano Obama o altri.

Un discorso molto atteso
Un discorso molto atteso dagli osservatori, quello di Wen, che non si limiterà certo a celebrare i 60 anni di relazioni diplomatiche (a volte macchiate dal rombo dei cannoni su confini ancor oggi in discussione) tra i due giganti dell'Asia. Ma traccerà la strada della possibile partnership tra i due principali protagonisti del nuovo mondo emerso dal decennio che ha rivoluzionato la scena economica e politica internazionale. A fronte di una cooperazione economica in pieno boom, «come potenze emergenti, è anche importante che ci coordiniamo in maniera diretta sui temi globali», ha confermato l'ambasciatore a Pechino S. Jaishankar in un'intervista alla vigilia della visita di Wen. E dal ministero degli Esteri di Pechino gli ha fatto eco l'apertura di Hu Zhengyue: «I leader dei nostri due paesi hanno convenuto che per Cina e India nel mondo c'è abbastanza spazio per svilupparsi insieme».

Nel mondo forse sì, ma in Asia?
Questa è la nube che ancora non si è dissolta sui piani strategici della sicurezza indiana, e che anzi potrebbe diventare foriera di tempeste. Almeno secondo una parte degli analisti che monitorano gli scenari futuri dei rapporti tra due potenze protese a proteggere i loro interessi regionali, a partire dai rifornimenti delle materie prime vitali alla crescita impetuosa delle loro economie nel 21 secolo. «Per gli ottimisti le due economie a crescita rapida sono destinate a farsi carico del mondo nei due prossimi decenni. I pessimisti, invece, pensano che i due paesi siano destinati a essere rivali. Ma nessuna delle due posizioni ha colto la vera natura di un rapporto complesso. Sia gli ottimisti che i pessimisti non hanno colto il quadro nella sua interezza. In realtà, per la prima volta in un secolo, il corso della storia sarà definito dall'interazione tra i due paesi più popolati al mondo», è il punto di vista di Rong Ying, vicepresidente del China Institute of International Studies.

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In realtà a New Delhi se sul fronte dello sviluppo si è certo interessati alla cooperazione nel campo delle infrastrutture, che per ora vedono perdente il gigante indiano nella gara con Pechino anche nell'attrazione degli investimenti esteri, meno trasporto c'è su altri fronti. Gli scambi commerciali dove Pechino è già il secondo partner: l'India nicchia all'ipotesi del trattato di libero scambio proposto con insistenza dalla Cina, la "fabbrica del mondo" i cui prodotti potrebbero soffocare in culla la nascente industria manifatturiera indiana. La libertà delle rotte marittime per le quali, come il Giappone, Delhi teme l'espansionismo della Marina Cinese. Per non parlare dell'azione di Pechino in Asia centrale e su scacchieri caldi quali l'Afghanistan e l'Iraq.

Da questo punto di vista non è proprio propizia alla rassicurazione degli animi indiani, a partire da quelli dei nazionalisti, la decisione di Wen Jiabao di trasferirsi a Islamabad dopo la tre giorni indiana. E qui si entra nel campo minato del nemico di sempre: il Pakistan con le sue "coperture" al terrorismo islamico. «Combinando la sua visita a New Delhi con il suo viaggio in Pakistan, Wen non fa che rafforzare i timori dell'India in merito al crescente legame strategico sino-pachistano. Ma come avrebbe reagito Pechino se il primo ministro indiano avesse collegato una visita in Cina con una in Giappone o in Vietnam?», chiede provocatoriamente sull'Hindustan Times Brahma Chellaney, l'autore di Asian Juggernaut: The Rise of China, India and Japan.

Il ritorno in forze dell'America
Anche per questo l'accoglienza pur calorosa all'ospite cinese forse non sarà all'altezza di quella riservata all'americano Obama, con le sue rassicuranti affermazioni sull'importanza geo-strategica di una potenza, anche nucleare, quale è l'India di oggi e la promessa di un appoggio a Delhi per il tanto desiderato seggio nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, a suggello del nuovo ruolo sulla scena mondiale dell'India. Una sorta di assicurazione "protettiva" da parte di un potente alleato, sia pur finora ripiegato su se stesso.

Per Delhi come per Tokyo e altre capitali del Sud-Est asiatico, ben viene quindi il ritorno in forze dell'America sullo scacchiere asiatico, anche in funzione di contenimento dell'espansionismo cinese. Ma è anche vero che, se una potenza vuol giocare da prim'attore, potrà essere una potenza riconosciuta solo se si assumerà a livello mondiale le responsabilità che lo status comporta. Per Delhi sarà questa la sfida più difficile nell'Asia dove si gioca la partita del potere regionale e mondiale del 21 secolo. Una partita che non si gioca più con gli alleati e le armi tradizionali. O almeno non solo con quelli.


cristaldi.sara@gmail.com

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