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Il decennio immobile dei trasporti

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2010 alle ore 09:43.

Quattrocento milioni sul piatto, sull'onda di una riforma approvata a luglio in Parlamento, un piano della logistica nuovo di zecca e un contratto appena siglato. L'autotrasporto sta per lasciarsi alle spalle un anno ricco di novità, ma la sfida che è chiamato ad affrontare è identica da dieci anni: ritagliarsi una politica industriale lungimirante, che lo renda meno costoso e più competitivo.

Secondo quanto disposto dal decreto di ripartizione in arrivo entro un mese, i quattrocento milioni previsti dalla legge di stabilità e bilancio saranno destinati alle consuete voci: spese non documentate, riduzione dei premi Inail, sconto sui pedaggi e sulle tasse automobilistiche, investimenti (in minima parte). Il timore è che si ripeta il solito copione.
Negli ultimi dieci anni - ricostruisce Deborah Appolloni nel libro «Razza padroncina» (edito da Il Sole 24 Ore Trasporti) - il settore ha beneficiato di 3,5 miliardi tra interventi strutturali e fondi aggiuntivi, che non hanno prodotto alcuna modernizzazione, ma che si sono dispersi in misure da parte delle aziende tese ad accaparrarsi il maggior numero di clienti.

Contro la politica degli aiuti a pioggia, che hanno mantenuto in vita artificialmente anche le imprese più inefficienti, punta il dito la committenza. Che da anni invoca una politica industriale seria, a sostegno delle imprese che investono, che si alleano, che sviluppano sistemi innovativi di movimentazione delle merci e che mantengono stabile l'occupazione.
Ma il sistema appare fossilizzato in una serie di problematiche che si trascinano identiche nel tempo: eccessiva frammentazione delle aziende, concorrenza sleale sempre più accentuata, una pressione fiscale e contributiva tra le più alte d'Europa. Al vulnus della politica fiscale già di per sé gravosa, si affianca il fenomeno delle cosiddette imprese “apri e chiudi”, aziende fortemente indebitate con il fisco che, dopo aver fallito, si ripresentano sul mercato sotto altro nome, con una situazione debitoria azzerata.

C'è poi il nodo della concorrenza dell'Est. Quella sleale – legata alla proliferazione di agenzie interinali che affittano gli autisti dall'estero sottopagandoli – e quella, alla luce del sole, delle imprese che operano nelle aree cosiddette neocomunitarie legalmente, ma a condizioni fiscali, sociali, assicurative nettamente vantaggiose. E che invadono le strade della nostra penisola con i propri Tir. Secondo Eurostat in Italia operano più di 93mila aziende di autotrasporto merci, contro le 35mila della Germania, che trasportano il doppio delle nostre merci e le 43mila della Francia, che trasportano il 20% in più.

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Come ha fatto notare Eleuterio Arcese, presidente di Anita, dal palco della 48esima assemblea generale: «L'eccesso di offerta sulle strade italiane sta determinando una forte distorsione della concorrenza e una forte spinta verso la destrutturazione del settore».
Una delle priorità in agenda per il nuovo comitato centrale dell'Albo che si è insediato il 15 dicembre è la cancellazione delle 50mila imprese “a camion zero” iscritte e dedite esclusivamente ad attività di intermediazione. Un ulteriore obolo per un sistema già stritolato dalla interminabile filiera degli appalti.

Sul settore continua a pesare anche una preoccupante patologia dimensionale. Contro l'eccessiva polverizzazione delle imprese, nulla ha potuto neanche la politica di incentivazione promossa dal governo, che nel 2009 ha destinato nove milioni alle aggregazioni. Pochissime le richieste pervenute, tanto che i fondi sono stati dirottati su un progetto analogo riguardante la formazione (a giorni, in Gazzetta ufficiale, il decreto che riapre i termini per le richieste). La realtà monoveicolare rimane la più diffusa in Italia e questo conferisce al popolo dei padroncini un potere forte, in un Paese che destina alle strade il 90% delle merci. E in cui il rapporto tra politica e Tir è sempre stato molto delicato.

L'accusa rivolta dalla committenza al sottosegretario ai Trasporti, Bartolomeo Giachino, dopo la riforma di luglio che ha introdotto i costi minimi, è stata quella di aver ceduto alla minaccia del fermo da parte degli autotrasportatori. L'accordo raggiunto dopo una serie di tavoli avrebbe garantito – disse allora il sottosegretario – una pax sociale di 24 mesi. Che però si è già infranta contro lo sciopero di tre giorni (13, 20 e 21 dicembre) proclamato dall'autotrasporto contro il nuovo contratto siglato la notte del 9 dicembre da Confetra, Fedit, Fedespedi, Assologistica e Cooperative, ma non da Anita, Conftrasporto, Fita, Cna e Confartigianato.

Adesso si riparte da 400 milioni. E da un piano della logistica che – ne è convinto Bartolomeo Giachino – aprirà la seconda fase della politica del trasporto merci.

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