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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2010 alle ore 08:14.
«Per fortuna in questi momenti c'è qualcuno che si occupa di noi. E se non può più distribuire salute, ti dà almeno conforto e dignità». Era una mattina d'estate, al solito caffè in zona Vigentina. Il vecio stava armeggiando tra le tasche per santificare il caffè con un cigarillo. La pipa era in archivio da anni, il fumo un vizio superato con qualche saltuaria ricaduta. Buttò là quella frase tra uno sbuffo azzurrognolo e un colpo di tosse, e non fece una piega accorgendosi che la stavo appuntando sul taccuino di pronto intervento. Anzi, dopo un silenzio più lungo del solito sogghignando mi disse che facevo bene a portarmi avanti col lavoro. E aggiunse che quel giorno non poteva essere lontano.
Il giorno è arrivato. In quella frase c'è tutta la cristiana rassegnazione con cui Enzo Bearzot ha accettato il suo destino. Sforzandosi sino all'ultimo di viverlo da cittadino del mondo, e solo negli ultimi giorni trascurando i quotidiani che donna Luisa gli portava di buonora. Ma non sforzandosi per nulla di mascherare il malumore, il disgusto per come è ridotto il paese, il vivere civile, il calcio, l'informazione sportiva e non. La voce al telefono era sempre più fioca, più lontana negli ultimi tempi.
Ma al ruggito non sapeva rinunciare, nemmeno dopo che l'asticella della bilancia era scesa sotto la soglia dei cinquanta chili. Povero vecio. Saranno stati i toni. O la suggestione. O il velo dell'amicizia. Ma sembrava davvero di riascoltare le intemerate di Pertini, o le sferzate di Montanelli. Non a caso due dei suoi giganti di riferimento.
Anche Enzo Bearzot è stato, a suo modo, un padre della patria. Era partito dal Friuli alla fine degli anni 40 alla scoperta di Milano, dopo gli anni giovanili nella Pro Gorizia. Trovandoci, il giorno dell'esordio a San Siro, una maglia nerazzurra indossata alla rovescia per l'emozione, con il numero 5 sul petto anziché sulla schiena. Ci restò per tre anni, in un pensionato di via Amedei in cui divideva la camera con veleno Lorenzi, giusto di fronte a quella più movimentata di un attore alle prime armi che si chiamava Walter Chiari. Il giorno che s'imbattè in Luisa, in corso Italia sul tram numero 3, precedette non di molto quello della cessione al Catania. Poco male. Prima il matrimonio nella chiesa di San Calimero. Poi una lunga luna di miele sul mare di Aci Trezza: e tre stagioni culminate nella prima, storica promozione del Catania in serie A.