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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2010 alle ore 14:02.
È morto stamane a Milano un padre della patria. Uno dei pochi universalmente riconosciuto come tale, ancorché la sua fosse semplicemente la patria pallonara. O forse proprio per questo, perché il calcio per noi italiani è qualcosa di sovrasignificante, di immanente, di assoluto.
«Uomo giusto e secondo padre». Così lo ricordano i grandi di Spagna '82
Si è spento intorno alle 8, l'ora in cui durante i mondiali di Spagna in genere riusciva a prendere sonno per un paio d'ore dopo le sue nottate da coyote in cui a lenire l'insonnia cronica c'era la compagnia, a turno, di Tardelli, di Conti, di quelli che come lui maggiormente avvertivano la tensione per l'impresa che stava maturando. Lo ha assistito sino all'ultimo Luisa, che ha vegliato su di lui negli ultimi tempi difficili. La notizia, filtrata come sempre attraverso un misterioso tamtam nonostante la protezione della famiglia, è pubblica da non più di un paio d'ore. E il dolore, il cordoglio, la partecipazione sono tali che io stesso, amico fedele e come tale riconosciuto, sono travolto da telefonate, messaggi, mail che partecipano al mio dolore.
Tra un po', immagino, comincerà a scendere. A manifestarsi. Per ora riesco a non avvertirlo perché sono troppe le cose a cui badare per ricordarlo come merita.
Un galantuomo, innanzitutto
Il prototipo dell'hombre vertical. Severo e selettivo con gli altri esattamente come con sé stesso. Ma con una capacità di aggregazione straordinaria, forse unica. Le lacrime che stanno versando Paolo Rossi, Bruno Conti,Tardelli sono quelle di chi in un tempo lontano ha scoperto in Enzo Bearzot un secondo padre. E da allora lo ha sempre vissuto come tale, al punto che persino Dino Zoff, pur anagraficamente più vicino al vecio, lo chiamava "mio papà". Proprio sulla lealtà e insieme il calore dei rapporti all'interno della famiglia azzurra aveva costruito le fortune sue e della sua Italia. Ma il tutto per uno, uno per tutti, funzionava anche e soprattutto perché alla base c'era un progetto tecnico e tattico di primissimo ordine. La sua nazionale nacque da una reinterpretazione del modulo della grande Olanda anni '70. Eclettismo era la sua parola d'ordine: giocatori di grande polivalenza tattica, in grado di interpretare più ruoli. E poi la più bella delle sue raffigurazioni calcistiche: il concetto di calcio interpretato alla maniera del jazz, un'altra delle grandi passioni della sua vita.