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Intervista a Poli, presidente Eni. «Gazprom? È business non politica»

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2010 alle ore 09:56.

Roberto Poli, presidente dell'Eni, è rimasto molto colpito dalla morte di Tommaso Padoa-Schioppa. «Non posso non ricordare l'amico che ci ha seguito con tanta attenzione quando era ministro dell'Economia del governo Prodi. Un'attenzione genuina e preziosa: rammento bene il suo tratto di gentilezza quando, alla richiesta di un incontro, mi disse di rimando: quanto serve? mezz'ora, un'ora o più? a significare la sua più attenta e cortese disponibilità.

A quattr'occhi non ebbe esitazione a consigliarmi di stare molto attento alle possibili scalate dell'Eni. Sarebbe un problema gravissimo per tutto il paese, ammoniva. E le norme di applicazione della golden share messe a punto in seguito dallo stesso Padoa-Schioppa mi fecero subito pensare a quella sua preoccupazione iniziale. L'Italia ha davvero perso un grande uomo delle istituzioni, dell'Europa e dell'economia globale».

Quella di Padoa-Schioppa era l'attenzione di un tecnico prestato alla politica e tutta focalizzata sul mantenimento dell'indipendenza del gruppo, ma negli ultimi giorni, soprattutto dopo le rivelazioni di WikiLeaks, sembra prevalere l'idea che l'Eni sia soggetto alle direttive del governo e ne sia influenzato.
Posso assicurarle che, da quando ho assunto la Presidenza, non ho mai ricevuto manifestazioni da parte dei governi pro-tempore in carica volte a influenzare la gestione dell'Eni. Le nostre bussole restano la produttività e l'efficienza dei nostri investimenti.

Ma l'energia è per sua natura un tema di interesse nazionale...
È evidente. Ed è evidente che vi debbano essere dei collegamenti con il governo, così come avviene, anche in forma più stretta, per le imprese energetiche francesi o tedesche. Ad esempio, direi che Sarkozy e la Merkel sono assai interventisti, come lo è anche il governo degli Stati Uniti. D'altra parte, l'Eni ha garantito e deve garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico del paese.

Qualche volta si è detto anche che, proprio per questo, è l'Eni a fare la politica estera dell'Italia soprattutto in certe aree. È così?
È un'esagerazione e non è vero. Ma è la conferma indiretta dell'indipendenza dell'Eni. La sua presenza all'estero, in alcuni paesi remoti, la fa comparire come attore importante. Insomma, è chiaro che, se in alcune zone del mondo non è presente una nostra missione diplomatica, è l'uomo Eni a venire identificato come "simbolo" dell'Italia. Questo ci responsabilizza e ci inorgoglisce, ma ci conferma il valore della nostra indipendenza. I vertici del gruppo possono cambiare, il cda può cambiare, ma è anche il management dell'Eni a garantire questa cultura dell'indipendenza e dell'autonomia.

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Vi accusano di non avere differenziato a sufficienza le fonti di approvvigionamento. Un fatto che potrebbe avere ripercussioni proprio sulla sicurezza.
Tutto il contrario. Siamo l'unico paese europeo ad avere 5 fonti distinte, scelta decisa quando l'Italia bocciò con un referendum il nucleare. Con una battuta oggi si può dire così: il cane Eni ha cinque gambe di approvvigionamento via gas e la sesta è nella capacità di stoccaggio e rigassificazione. Ecco la storia dei gasdotti Eni: nel '69 fu costruito il Tag per il trasporto del gas dalla Russia; nel '71 il Tenp dall'Olanda; nel '77 quello dall'Algeria; venti anni dopo fu la volta della Norvegia e della Libia. Come si vede, via via che crescevano i consumi italiani di gas Eni ampliava la gamma dei paesi fornitori per coprire il fabbisogno nazionale e cercando di differenziare le fonti per la distribuzione del rischio.

Ora gli accordi con Gazprom sono finiti nel mirino dei critici: il rinnovo dei contratti take or pay fino al 2035 oggi sono una zavorra nei conti soprattutto perchè si stanno sviluppando tecnologia che abbassano i costi di estrazione e rendono il gas più a buon mercato...
Una cosa alla volta. Quanto alla proroga dei contratti le porto questi dati che dimostrano come la scelta del prolungamento non sia stata solo di Eni. Noi abbiamo deciso di portare avanti la scadenza dei contratti dal 2019 al 2035; la Eon Ruhrgas dal 2020 al 2035; Gaz de France dal 2012-2015 al 2030, l'Omv dal 2010 al 2027. Alcune società hanno addirittura stipulato contratti aggiuntivi. Come vede Eni ha fatto questa scelta, coerente con gli altri operatori europei, ritenendola corretta e non perchè influenzata dai governi dell'uno o dell'altro colore politico. Non si deve dimenticare che a gennaio 2006 era scoppiata la crisi dei rapporti Russia-Ucraina con conseguenze gravi di carenza di gas in molti paesi europei. Inoltre nel 2006 si prevedeva un incremento del fabbisogno di gas in Europa al 2020 di circa 230 miliardi di metri cubi rispetto al 2006 (+45%) e contemporaneamente una diminuzione della produzione europea di circa 100 miliardi di metri cubi, sempre al 2020. Fu anche per questo che tutte le società europee si orientarono a chiedere una proroga dei contratti d'importazione.

Ora però c'è la possibilità di sfruttare il cosiddetto shale gas, una nuova tecnica di estrazione che consente di ricavare gas da rocce prima non sfruttabili, un fatto che abbassa il prezzo e ha già reso totalmente indipendenti gli Stati Uniti che hanno smesso di importare gas liquido.
Analizziamo cosa è cambiato oggi rispetto al 2005-2006: la crisi del 2009 ha ridotto i consumi di gas in Europa di circa l'8% e la ripresa lenta dell'economia europea fa prevedere che si raggiungeranno i consumi del 2008 soltanto nel 2012-2013. Certo, nel frattempo ha preso forma in maniera crescente la produzione di gas non convenzionale (appunto il cosiddetto shale gas) ricavato grazie a tecnologie innovative. All'avanguardia sono gli Usa che, grazie a questo nuovo tipo di gas, si sono resi quasi autosufficienti anche pro-futuro. Ma va detto subito che lo shale gas ha ancora in sé alcuni elementi di incertezza: ci potrebbero essere impatti ambientali che in Europa e in altri paesi potrebbero venire considerati incompatibili. L'Eni per ora ha realizzato un investimento importante in una piccola società americana, la Quicksilver, da cui ha appreso il know how per l'estrazione; e ha ottenuto concessioni per la sua applicazione in Polonia e altre ne sta negoziando in Ucraina e in Africa.

Resta il fatto che la proroga degli accordi di lunga scadenza risulta assai più onerosa rispetto al gas spot reso disponibile sul mercato oggi.
È chiaro che la riduzione dei consumi dovuta alla crisi (imprevedibile nel 2006, vale a dire al momento della firma di quei contratti) e l'aumento del gas disponibile hanno creato la divaricazione tra i prezzi legati alla quotazione del petrolio (propri dei contratti a lunga scadenza) e i prezzi spot applicati in modo congiunturale dal mercato. Ma è evidente che la sicurezza energetica di un paese non si può basare solo sul gas spot. Quindi i contratti a lungo termine, eventualmente aggiornati nelle formule del prezzo, rimangono un pilastro importante di questa sicurezza.

Chiederete uno sconto a Gazprom?
Le rinegoziazioni dei contratti di fornitura sono una costante di questa industria e le nostre relazioni cinquantennali con Gazprom ci rassicurano in tal senso. Pensi che l'amministratore delegato Paolo Scaroni incontrerà il corrispondente Alexei Miller domani, 23 dicembre, a Mosca.

I file pubblicati da WikiLeaks accreditano tensioni con il dipartimento di stato americano per i rapporti privilegiati tra Italia e Russia, soprattutto in tema di energia. Le risulta?
Non mi risulta. Mi limito a fare un piccolo quadro storico. Le tre grandi società del gas dell'Europa continentale hanno stipulato i primi contratti di approvvigionamento con l'allora Urss in piena guerra fredda. Eni è stata la prima nel '69, seguita da Ruhrgas nel '73 e da Gaz de France nel '75: le società si impegnarono poi a costruire i gasdotti dalla frontiera sovietica ai rispettivi paesi. È assurdo pensare che questi tre importanti paesi Nato abbiano potuto stipulare questi contratti con la nazione guida del mondo comunista senza l'assenso degli Stati Uniti che della difesa della Nato erano il pivot.

Perchè nel 2005 Eni aveva previsto di cedere 2 miliardi di metri cubi di gas a una società mista, partecipate da Gazprom, in cui figurava il nome di Mentasti, imprenditore riconducibile a Silvio Berlusconi?
Ancora una volta resto ai fatti concreti. Nel 2006, quando furono firmati i contratti di prolungamento delle forniture del gas russo, tutte le società europee tennero comportamenti analoghi concedendo a Gazprom attività di trading diretto e di distribuzione in Europa. Non era un mistero che ciò rispondeva alla precisa volontà strategica di Gazprom di scendere nei mercati a valle: era una priorità dei russi allora, lo è ancora oggi. Così Eon Ruhrgas ha ceduto partecipazioni nelle sue società in Ungheria (società di trading, stoccaggio e distribuzione); Gaz de France la dato accesso alla vendita diretta in Francia di 1,5 miliardi di metri cubi; Omv ha concesso a Gazprom la possibilità di vendere direttamente sul mercato austriaco.

E Mentasti?
Quanto al presunto intervento di un socio italiano (appunto Mentasti) a fianco di Gazprom, argomento ampiamente trattato dalla stampa dell'epoca a cominciare dagli articoli pubblicati proprio dal Sole 24 Ore, è un problema superato perchè quel contratto non ha avuto esecuzione. È stata una scelta di Eni ed è la riprova concreta che la governance del gruppo funziona ed è ispirata a criteri di trasparenza e di indipendenza.

Dal momento della firma a quello della non esecuzione si è passati dal governo Berlusconi a quello di Prodi?
No è stato tutto concluso nel 2005.

Torniamo a WikiLeaks e ai messaggi interni tra l'ambasciata Usa di Roma e il dipartimento di stato Usa. Sul gasdotto South Stream sembrano esserci molte perplessità americane...
Il tema va inquadrato correttamente nel contesto dei rapporti Russia-Ue. North Stream e South Stream vanno visti congiuntamente perchè questa è l'impostazione strategica di Gazprom che è socio di maggioranza e fornitore del gas. Nel North Stream, in avanzato stato di costruzione da parte della nostra Saipem che procede – e lo dico con orgoglio – al ritmo di 2,5 chilometri al giorno, sono presenti le più grandi società europee del gas. Non sono a conoscenza di grandi preoccupazioni del Dipartimento di stato su questo gasdotto. Per il South Stream esistono una pluralità di soci di Gazprom nel tratto continentale, società di paesi attraversati o destinatari del gas, e per quello off shore i soci iniziali erano Gazprom ed Eni ma ora è previsto l'ingresso della francese Edf e la disponibilità ad allargare la componente azionaria per rafforzare il progetto. Insomma, Eni, che è il più grande operatore europeo del gas ed il partner di più vecchia data di Gazprom, non aveva alcun interesse a restrare fuori da questo disegno dei due grandi gasdotti nel quale erano intervenuti tutti i suoi principali concorrenti. Resta – per quanto ci riguarda – una condizione inderogabile: l'economicità del gasdotto e la sua finanziabilità. Ad oggi Eni è impegnata con Gazprom a realizzare uno studio di fattibilità tecnica, commerciale, economica e finanziaria. Solo se le analisi avranno esito positivo Eni assumerà la decisione finale di partecipare alla costruzione del gasdotto.

Chi critica South Stream dice che il gasdotto alternativo Nabucco garantirebbe un miglior approvvigiornamento e minore dipendenza dalla Russia.
È falso pensare che noi abbiamo dato un'adesione – come dire, ideologica – a South Stream per annullare il Nabucco. Nè ha senso dire che l'Europa non è d'accordo: quando abbiamo firmato l'intesa Eni-Gazprom eravamo a Roma con la benedizione ufficiale del Commissario europeo Piebalgs. Quanto a Nabucco, semplicemente non è ancora chiaro da dove effettivamente quella pipeline prenda il gas. Se la fonte è solo l'Azerbaijan, come sembra, non è sufficiente per l'economicità dell'investimento.

L'Eni ha rapporti anche con l'Iran, paese al centro dell'embargo della comunità internazionale. Qual è la vostra strategia in quel paese?
Qui voglio subito dire che è stato lo stesso Dipartimento di stato Usa a riconoscere nei documenti ufficiali la correttezza di Eni in quel paese. Il nostro obiettivo è ora solo quello di incassare i nostri crediti: ammontavano a 2 miliardi di dollari e oggi ne rimangono 1,2 miliardi. Per Eni ora lo sviluppo futuro è in Iraq tramite l'investimenti nell'impianto di Zubair: è uno dei più grandi ed ha un altissimo potenziale di sviluppo. Abbiamo già superato i target preliminari previsti dal contratto di sfruttamento, siamo molto fiduciosi.

E la Cina, che partner può essere?
Guardiamo a quel paese con grandissima attenzione. Il consumo addizionale di energia lì sarà davvero importante. Negli ultimi cinque anni la Cina ha chiesto un consumo aggiuntivo di energia elettrica pari, ogni anno, all'interno fabbisogno dell'Italia. La Cina è importatore netto di petrolio e guarda con grande attenzione ai gasdotti e agli impianti di liquefazione.

Un anno fa lei diceva in una intervista a Corriere della sera: «Qualsiasi manovra da chiunque provenga volta ad allontanare la presenza – diretta o indiretta – dello stato dal capitale di Eni sarebbe pericolosa e problematica. Abbiamo già perso troppe imprese fondamentali con operazioni puramente finanziarie». È ancora di quell'idea?
Certo e con ancora maggiore convinzione.

E della separazione della rete gas che ne pensa?
È un'ipotesi superata dai fatti. Eni ha ridotto la sua quota di mercato del gas in Italia da circa il 90% del 2000 al 39% del 2010. Va ricordato che, ad esempio, Gaz de France mantiene ancora una quota sul mercato interno dell'80%; alta è anche la percentuale per Eon. Entrambe queste società conservano la proprietà integrale delle loro infrastrutture primarie di trasporto. Ormai la tesi della separazione, magari plausibile 7-8 anni fa, è superata: lo status quo è perfettamente in linea con la terza direttiva comunitaria. Comunque una scelta di questo tipo non è di pertinenza soltanto del cda dell'Eni ma soprattutto del governo che ne assumerà la responsabilità per assicurare una vera sicurezza energetica di lungo termine.

Come valuta l'inchiesta di Milano su una presunta truffa di 1,7 miliardi per accise non pagate, di cui si parla in questi giorni?
Si tratta di una vicenda complessa, il cui inizio giudiziario risale ad alcuni anni fa. Da allora molte cose sono accadute, come la richiesta di archiviazione per l'amministratore delegato ed altri manager di Eni. Relativamente a questo nuovo filone, siamo sereni per quanto riguarda l'operato dei manager della nostra divisione gas & power. Il tema della misurazione gas è di particolare complessità e confidiamo che i tecnici della divisione riusciranno ad aiutare la magistratura nell'accertamento dei fatti.

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