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Perché l'inflazione tedesca in aumento rischia di contagiare il resto d'Europa

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 06:38.

Tanta inflazione in più: di quella cattiva, che viene dall'estero e non può essere governata. Il 2010 della Germania si chiude così, sotto un auspicio non proprio benevolo, proprio mentre in Eurolandia i segnali di ripresa, nel settore monetario e creditizio, restano - dietro le apparenze di una brusca accelerazione - un po' sotto tono.
A dicembre i prezzi sono saliti, in Germania, dell'1,2% mensile (armonizzato): un'enormità, che ha fatto balzare l'inflazione annuale dall'1,6% all'1,9 per cento.

La misura nazionale, all1,7%, è ai massimi da ottobre 2008. Non è difficile capire perché sia successo, anche se il dato complessivo - preliminare - non prevede un dettaglio per settore. Le indicazioni che provengono dai principali Länder non lasciano dubbi: sono i prezzi degli alimentari, e quelli dell'energia, a spingere il costo della vita. In nessuna delle regioni della Germania l'inflazione di base, core, che esclude le voci più volatili, ha superato l'1% e proprio nello Hesse, dove i prezzi sono più freddi (0,3% annuo), il costo degli alimentari è salito del 3,7% annuo, quello dell'energia dell'8,7 per cento. Sono le pressioni delle economie emergenti, stimolate anche - e in modo forte - dalla politica monetaria delle banche centrali occidentali, a spingere in alto il costo delle materie prime, e il fenomeno ora si riverbera anche sulle economie ricche.

Presto la Banca centrale europea potrebbe quindi ritrovarsi con un problema in più. L'inflazione complessiva di Eurolandia, a dicembre, dovrebbe raggiungere il tetto del 2%, e magari superarlo (JPMorgan prevede per esempio un 2,1%). Questo non impone un immediato irrigidimento della politica monetaria: quello che conta per la Bce è l'andamento dell'inflazione nel medio termine; e, in più, solo quella di base è strettamente controllabile con la politica monetaria. Potrebbe cominciare però a preoccuparsi di eventuali effetti "indiretti" di queste pressioni inflazionistiche. Sono improbabili, nell'attuale situazione di ripresa timida dell'economia europea, ma è comunque un primo campanello d'allarme che suona.

Senza contare che il "pilastro monetario" - uno dei due su cui si fonda la strategia di politica monetaria della Bce - dà segnali un po' contrastanti. La massa monetaria M3, la più ampia, è bruscamente accelerata a novembre ed è cresciuta dell'1,9% annuo, dallo 0,9% di ottobre. È una velocità che non si raggiungeva da agosto 2009, ma resta lontana da quella "di crociera" che la Bce fissa, in modo puramente indicativo, al 4,5 per cento. Il balzo risente, oltre tutto, di fattori straordinari.

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Quello che è successo - spiega Julian Callow di Barclays ricordando l'ultimo bollettino della Bce - è una "redistribuzione" degli investimenti finanziari tra i diversi rendimenti, e una parte consistente di essi è rientrata in M3: molti fondi di investimento hanno effettuato operazioni di repurchase agreement per 50 miliardi di euro (+13% mensile). Non a caso la media mobile a tre mesi di M3 mostra un rallentamento: al 2%, dal 3,8% di ottobre.

«Secondo noi - continua l'analista - il trend di M2 dà una migliore prospettiva sugli sviluppi più importanti nell'offerta di moneta di Eurolandia: è aumentato del 2,3% annuo a novembre, in rialzo dal 2,1% di ottobre», con una media mobile a tre mesi, più stabile, del 2,1 per cento. Eurolandia quindi migliora, ma lentamente, come mostra anche il credito al settore privato (+2% dall'1,5%) e in particolare i prestiti concessi alle aziende private non finanziarie (+2,4% dall'1,7%, con l'Italia tra i paesi più attivi) e i prestiti a famiglie, imprese individuali e non profit (+2,8%). In calo i prestiti ai governi (-38 miliardi dopo i +94 miliardi di ottobre) con le eccezioni dell'Irlanda e della Germania. Rallenta ancora, infine, M1, fonte prima di energia per l'economia: +4,6% annuo, dal 6,2% di settembre. Non era così lenta da dicembre 2008, mentre ad agosto 2009 correva al 13,4% annuo.

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