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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2011 alle ore 12:54.
Confermata, a carico dell'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e violazione del segreto istruttorio nell'ambito del processo «talpe alla Dda». Lo ha deciso la seconda sezione penale. Cuffaro è già entrato nel carcere di Rebibbia.
Dalle 9 alle 12:30 raccolto in preghiera nella Chiesa della Minerva, nel centro di Roma, seduto su uno scranno in fondo, in compagnia di un paio di uomini della segreteria. Così Totò Cuffaro ha trascorso la mattinata in uno stato d'animo che, chi lo conosce, definisce «molto provato». Cuffaro, con addosso un impermeabile scuro, è uscito presto dalla sua abitazione questa mattina, pochi metri distante, ed è andato direttamente in chiesa, da dove è uscito pochi minuti prima delle 12:30. L'ex governatore della Sicilia uscito dalla chiesa si è diretto nella sua abitazione romana, sempre in centro, a pochi metri di distanza, dove ha atteso la sentenza della Cassazione sul suo caso.
«Adesso vado a costituirmi a Rebibbia», aveva poi annunciato Salvatore Cuffaro ai giornalisti subito dopo la sentenza lasciando la sua abitazione. «Mi appresto a scontare la mia pena - aveva ribadito - come è giusto che sia per uno che è stato condannato con grande fiducia nelle istituzioni che in questa prova ho visto crescere nella cultura. Contento di questo ho trasferito questo messaggio ai miei figli e alla mia famiglia». Aveva concluso visibilmente commosso.
La sentenza dopo tre ore e mezza
È durata 3 ore e mezza la camera di consiglio della seconda sezione penale della Corte di Cassazione presieduta da Antonio Esposito che ha confermato la condanna a 7 anni di reclusione per l'ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro. Cuffaro non era presente alla lettura della sentenza. In aula c'era, invece, il parlamentare Saverio Romano, segretario del neo partito Italia Domani a cui appartiene il senatore Cuffaro dopo l'allontanamento dall'Udc.Il verdetto della suprema corte ha confermato la sentenza della corte d'appello di Palermo emessa il 23 gennaio del 2010.
Quei favori per la sanità sicliana
Cuffaro è ritenuto responsabile di aver favorito Cosa Nostra, in particolare il manager della sanità siciliana Michele Aiello, considerato il prestanome del boss Bernardo Provenzano.