Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 14:40.
Non ha mai vinto una sola guerra se si esclude il blitz nel deserto contro la Libia nel 1977, eppure le forze armate egiziane hanno espresso tutti i presidenti egiziani degli ultimi 60 anni e godono della stima di una popolazione nutrita da una propaganda militarista che è riuscita a cancellare o ad ammorbidire le numerose disfatte subite contro gli israeliani.
L'ultimo conflitto aperto con lo stato ebraico, quello dello Yom Kippur del 1973, viene raccontato dalle cronache ufficiali egiziane solo nella sua prima fase, quando le forze egiziane penetrarono con una brillante operazione in Sinai, ma non in quella finale quando il contrattacco israeliano portò la Prima divisione corazzata di Tsahal, guidata dal generale Ariel Sharon, a valicare il Canale di Suez giungendo a 100 chilometri dal Cairo mentre a nord gli israeliani giunsero a 40 chilometri da Damasco quando entrò in vigore il cessate il fuoco.
Fondato nel 1830 e impegnato a combattere l'Impero Ottomano, il moderno esercito egiziano mantenne a lungo il controllo del Sudan e combatté dal 1882 al fianco delle truppe britanniche dopo che Londra aveva assunto il controllo del Canale di Suez. Pur mantenendo una sua autonomia e combattendo con valore contro i "talebani" dell'epoca, i dervisci jihadisti che conquistarono Khartoum e il Sudan tra il 1883 e il 1991, l'esercito egiziano non venne mai dotato di mezzi pesanti per non costituire una minaccia per le forze di Londra. Durante la Prima guerra mondiale ebbe un ruolo di supporto al corpo di spedizione britannico in Medio Oriente e durante la Seconda alcuni suoi ufficiali nazionalisti destinati poi a diventare famosi (Nasser e Sadat tra tutti) cospirarono con gli italo-tedeschi per scatenare un'insurrezione armata appena le truppe dell'Asse avessero raggiunto Alessandria. Rommel venne invece fermato a El Alamein ma alcuni di quei militari, guidati dal generale Muhammad Neguib e dal colonnello Gamal Nasser, condussero con successo il golpe dei "Liberi Ufficiali" contro re Faruk del 1952, criticato dall'esercito per la disastrosa sconfitta rimediata quattro anni prima contro Israele che, stato appena costituito, non disponeva neppure di vere e proprie forze armate.
Divenuto presidente, il moderato Neguib venne rovesciato due anni dopo da Nasser che instaurò una repubblica capostipite dei molti regimi socialisti e nazionalisti che emersero in seguito nel mondo arabo. Nel 1956 la nazionalizzazione del Canale di Suez scatenò un'operazione anfibia e aeromobile franco-britannica che in due giorni sbaragliò le truppe egiziane e assunsee il controllo del Canale mentre gli israeliani approfittarono della situazione per penetrare nella penisola del Sinai. Le pressioni di Mosca e Washington obbligarono i franco-britannici al ritiro e negli anni successivi le forze egiziane vennero modernizzate da istruttori russi, cinesi e nordcoreani ed equipaggiate pesantemente con migliaia di carri armati T-55, blindati, artiglierie, missili antiaerei e centinaia di jet Mig e Sukhoi.
Nel momento di massimo impegno, l'Egitto schierò 75 mila militari in Nord Yemen ad affiancare i repubblicani nella guerra civile contro i monarchici (sostenuti dai sauditi) tra il 1962 e il 1970. Una guerra considerata da alcuni storici "il Vietnam dell'Egitto" che non risparmiò brutte figure a Nasser, costretto a richiamare i suoi militari dopo la batosta subita in Sinai nel 1967 dal blitz israeliano della Guerra dei Sei Giorni. Un conflitto che vide la distruzione di gran parte degli arsenali egiziani, ripianati rapidamente da Mosca. Alla morte di Nasser, nel 1969, il vicepresidente Anwar Sadat (un altro ufficiale golpista del 1952) assunse il potere. Uomo pragmatico che nel 1941 aveva conosciuto la galera britannica per aver complottato con l'Asse, seppe affrontare la disfatta militare del 1973 interpretandola come una vittoria tattica in grado di lavare l'onta della disfatta totale subita sei anni prima.
L'apertura al negoziato con Israele (nato dalla consapevolezza di non poterlo sconfiggere) portò a duri contrasti con i vicini arabi e alla breve guerra di confine con la Libia del luglio 1977 che vide Muhammar Gheddafi subire la più grave delle numerose batoste militari della sua carriera di leader di Tripoli, con le brigate libiche annientate da tre divisioni egiziane fermate sulla strada per Bengasi solo dalle pressioni esercitate su Sadat dalla Lega Araba.
Nel 1979 la firma dell'accordo di Camp David permise all'Egitto di tornare in possesso del Sinai, territorio mantenuto ancor oggi smilitarizzato, e di riavvicinarsi all'Occidente. Dopo la morte di Sadat, ucciso da un terrorista islamico del gruppo al-Jihad durante una parata, il 6 ottobre 1981, al vertice del Cairo salì il vice presidente, Hosni Mubarak, pilota di jet di formazione sovietica ma che accentuò l'avvicinamento all'Occidente trasformando le forze egiziane in uno strumento più moderno ed efficiente anche se composto ancora da una gran massa di soldati: 340 mila quelli in servizio oggi, dei quali ben 260 mila di leva (più 360 mila riservisti). La progressiva radiazione dei mezzi dell'era sovietica ha portato l'Egitto a diventare uno dei più importanti clienti dell'industria della difesa statunitense ed europea (presso le quali ha acquistato tra l'altro jet F-16, Mirage 2000 e Phantom, carri Abrams, elicotteri Apache e Ch-47) acquisiti grazie a un bilancio per la Difesa di 4 miliardi di dollari ai quali si aggiungano generosi contributi statunitensi (quasi 40 miliardi di dollari dal 1979 a oggi) secondi nel mondo solo a quelli elargiti a Israele. Per Washington le forze egiziane costituiscono un importante fattore di stabilità in Medio Oriente in contrasto all'estremismo islamico e al crescente potere militare dell'Iran. In Egitto si addestrano regolarmente alla guerra nel deserto le truppe della Nato nell'ambito delle esercitazioni "Bright Star". Il Cairo ha sviluppato inoltre un'efficace industria militare che produce armi dai fucili alle artiglierie, jet da addestramento e una versione dei carri statunitensi Abrams. Le forze egiziane sono le più imponenti d'Africa e mantengono missioni di consulenza militare in molti paesi africani e mediorientali. L'ampio consenso popolare è dovuto non solo alla leva ma anche al prestigio dell'uniforme in un paese che vede nei militari una classe sociale istruita e ben stipendiata oltre che dal massiccio impiego delle truppe per soccorrere le popolazioni colpite da terremoti o dalle inondazioni del Nilo. La decisione di Mubarak di impiegare l'esercito per controllare le strade e imporre il coprifuoco è nata probabilmente da queste considerazioni e non certo dalla carenza di forze di polizia, oltre 300 mila agenti tra Security Guard e paramilitari della Guardia Nazionale considerati però strumenti del regime da buona parte della popolazione.
Negli ultimi anni del resto non sono certo mancati i casi di scontri e attriti tra militari e polizia in buona parte tenuti nascosti dal regime.
La nomina a vicepresidente del capo dei servizi d'intelligence, il generale Omar Suleiman, potrebbe aprire la strada al dopo-Mubarak lasciando ancora una volta il potere nelle mani di un militare.