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Quando il Nobel scende in politica

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 19:17.

Nel giorno della marcia del milione (2 milioni per la tv araba al-Jazeera), in Egitto arriva un altro premio Nobel a dar man forte al movimento di protesta e lanciare la sfida al presidente Hosni Mubarak.

Egitto, due milioni in marcia. ElBaradei: Mubarak lasci entro venerdì

Ahmed Zewail, che qualche giorno fa aveva espressamente dichiarato la propria solidarietà ai dimostranti, è arrivato per impegnarsi in un comitato per le riforme costituzionali insieme ad Ayman Nour. Zewail, 64 anni, studi al California Institute of Technology, è stato insignito del premio Nobel per la chimica nel 1999, per le sue ricerche nel campo dei laser ultrarapidi impiegati per lo studio di reazioni chimiche: uno studio che gli aveva già fruttato il premio Wolf nel 1993. Appare già come uno dei candidati più forti alla successione del "faraone" Mubarak, insieme a Mohamed ElBaradei, ex direttore generale dell'Agenzia Internazionale dell'Onu per l'Energia Atomica (Aiea) e premio Nobel per la Pace nel 2005, e il segretario della lega araba Amr Moussa.

Due Nobel in campo per l'Egitto, dunque. ElBaradei, 68 anni, ex diplomatico, in Egitto ha fondato il Fronte nazionale per il cambiamento, un movimento legato oggi ad altre organizzazioni pro-democrazia, e si è avvicinato anche ai Fratelli musulmani che ne sostengono i progetti di revisione costituzionale. «Oggi l'Egitto ha un nuovo eroe», gli scrisse Hosni Mubarak il giorno del ritiro del Nobel. D'altra parte il diplomatico egiziano aveva dimostrato coraggio nel mettere in dubbio, prima dell'invasione americana del 2003 in Iraq, il fatto che Saddam Hussein perseguisse un programma nucleare segreto. L'anno scorso ElBaradei, dopo aver fondato Il Fronte nazionale per il cambiamento, a febbraio è rientrato in Egitto, accolto all'aeroporto del Cairo da qualche decina di sostenitori, e ha allarmato il regime. Ha girato molto il paese, per conoscerlo e farsi conoscere, fino alla nuova ripartenza. Poche dichiarazioni, niente bagni di folla: all'inizio la sua tattica assomigliava a quella del Mahatma Gandhi al rientro in India dal Sudafrica nel 1917. Ma questa è un'altra storia e grande è la distanza. E non solo perché a Gandhi il premio Nobel non è mai stato assegnato.

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Tags Correlati: African National Congress | Alberto Fujimori | Alfred Nobel | Al Jazeera | Aung San Suu Kyi | Consiglio di Sicurezza dell'ONU | Dario Foha | Egitto | Elezioni | El Frente Democratico | Ghad | Herberto Padilla | Jonathan Goodluck | Nigeria | Onu | Polonia | Saddam Hussein | Solidarnosc | Sudafrica

 

Zewail invece si affianca al movimento della società civile, Kifaya, attraverso il partito Ghad (Domani) guidato da Nour, imprigionato nel 2004 e già rivale di Mubarak alle presidenziali del 2005. Zewail entra così nella galleria dei Nobel protagonisti nell'agone politico, che sono stati per lo più dei Nobel per la pace. Perché "politico" è il senso del premio chiesto nel suo testamento dall'inventore della dinamite Alfred Nobel: "il migliore contributo per la fratellanza tra le nazioni, per l'abolizione o la riduzione degli eserciti e per la promozione della pace". Un premio con cui si è spesso provato a cambiare la storia. E in questi giorni proprio il World Summit of Nobel Peace Laureates ha firmato un appello indirizzato al governo egiziano, trasmesso anche ai capi di stato e di governo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Ecco una galleria di altri Nobel "politici" che hanno lasciato una traccia importante nella storia.

«Soluzione politica», questo è stato lo slogan di Nelson Mandela, che gli è valso il premio Nobel per la Pace. Lo riceve nel 1993, "per aver svolto un ruolo decisivo nello smantellamento del sistema di segregazione razziale nel paese". Tre anni prima, quando era finalmente uscito di prigione, sulla prima pagina dei giornali sudafricani campeggiava l' immagine della sua stretta di mano con Frederik de Klerk, il presidente con cui avrebbe condiviso il Nobel. Con le prime elezioni libere, a cui potevano partecipare anche i neri, Mandela sarebbe poi diventato nel 1994 il presidente della Repubblica del Sudafrica. Ma celebre rimane il suo discorso a Durban, nel pieno della guerra tra l'African National Congress e il movimento zulu di Buthelezi: «Gettate in mare le vostre pistole, i coltelli, le asce».

Nel 1979 in Polonia Lech Walesa è uno dei firmatari della "Carta dei diritti degli operai", che contiene il programma per un movimento sindacale libero. Quando l'anno seguente scoppia lo sciopero all'interno dei cantieri di Danzica, si mette alla testa degli operai e viene eletto presidente del sindacato libero autonomo Solidarnosc. Arrestato e internato nel 1981 durante il colpo di stato del generale Jaruzelski, vive periodo «in equilibrio tra l'isolamento sociale e l'inoperosità e la prigione», e nel 1983 torna a lavorare ai cantieri. Il 5 ottobre riceve il premio Nobel per la pace (che sua moglie ritira al posto suo): nel 1990 vince le elezioni e diventa per cinque anni presidente della Polonia.

«Un virus ha attaccato il mondo e si è diffuso in Nigeria. Barbariche orde di assassini sono entrate nelle case, trascinando fuori le persone di altre fedi per colpirle a morte. Durante la mia giovinezza potevi sentire le campane delle chiese e il bellissimo richiamo alla preghiera del muezzin. Ma adesso è una malattia». Così lo scrittore e poeta nigeriano Wole Soyinka ha recentemente commentato l'eccidio di cristiani per mano dei fondamentalisti islamici nel suo paese. Soynka, lo "Shakespeare africano", premio Nobel per la letteratura nel 1986, ha lanciato l'anno scorso l'idea di un nuovo partito per le prossime elezioni presidenziali in Nigeria, dopo che il presidente Umar Yar'Adua, musulmano, è morto per problemi cardiaci, lasciando l'incarico di capo del governo al suo vice Goodluck Jonathan, cristiano. Soynka, già incarcerato dal 1967 al 1969 durante la guerra civile nigeriana, vorrebbe un partito a "risorse zero", come l'ha definito per contrapporlo alla corruzione delle altre fazioni politiche.

«Llosa è una figura controversa, un antagonista sia della destra sia della sinistra», ha scritto l'anno scorso l'anglista George Brown, in una nota diffusa dal comitato dei Nobel. «È sempre stato uno scrittore impegnato politicamente: ciò che dà consistenza alla sua posizione è la sua forte ostilità a qualunque autoritarismo, il suo impegno per la libertà e i diritti individuali che lo rende scettico verso tutte le identità collettive». Ecco Mario Vargas Llosa, 74 anni, Nobel per la Letteratura 2010. Anche se ha preso la cittadinanza spagnola, torna spesso in Perù. Il paese nel quale è nato e dove nel 1990 si candida alle presidenziali, perdendo davanti ad Alberto Fujimori. E' il candidato della coalizione di centrodestra El Frente Democratico. Lui, che aveva sostenuto da giovane la rivoluzione cubana e aderito alle idee marxiste. Ma che gradualmente si è convinto che il socialismo cubano è incompatibile con la sua concezione di liberà e democrazia, e ha rotto definitivamente con Castro quando questo ha imprigionato il poeta Herberto Padilla.

Vargas Llosa deluso dalla sinistra. «Una delusione così forte che è passato a posizioni più moderate: ora il suo credo è quello di una destra liberale. Anzi come dice lui stesso, quello di una destra "pesantemente liberale"». Così Dario Foha spiegato la scelta del suo collega. Fo che nel 1997 ha ricevuto lo stesso premio per la Letteratura, perché "nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati". Con un misto di risa e serietà, strumento per risvegliare le coscienze sugli abusi e le ingiustizie della vita sociale. Artista al servizio del "movimento proletario", negli anni '70 Fo fondava il collettivo teatrale La Comune. Giullare sempre impegnato, che come nella commedia dell'arte innova e modifica di continuo gli spettacoli, per cogliere sempre l'attualità. Anche tra girotondi e popoli viola. Ancora oggi i suoi testi "nello stesso tempo divertono, impegnano e offrono nuove prospettive".

Ha manifestato in questi giorni piena solidarietà al popolo egiziano in rivolta: «Siamo tutti con voi». «Bisogna rimanere lucidi ma coraggiosi, non perdere mai la speranza e andare sempre avanti», ha dichiarato Aung San Suu Kyi: è normale che dopo un certo numero di anni un popolo sia stanco dei regimi autoritari. Pronunciate da lei, che nel 1990 con la sua Lega Nazionale per la Democrazia sarebbe diventata primo ministro birmano se le votazioni non fossero state una farsa organizzata dal regime militare, queste parole hanno un'eco ancora più forte. L'anno successivo al voto-farsa, nel 1991, ha ricevuto il Nobel per la Pace. Ma da allora ha trascorso quasi 15 anni di arresti domiciliari. E ora che è stata liberata, si dice convinta che la svolta in Myanmar sia possibile. «Quando la gente mi chiede se voglio essere il prossimo presidente della Birmania, rispondo di no», ha dichiarato in una recente intervista al Financial Times. La leadership è di tutti, grazie ai nuovi media e alla spinta dei giovani.

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