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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 09:35.
L'ultima modifica è del 02 febbraio 2011 alle ore 09:36.
In molti parlano di meritocrazia in Italia. Ma si fanno pochi progressi in questo senso e tanti giovani promettenti rimangono fermi, non premiati o addirittura disoccupati, come dimostrano i preoccupanti dati di ieri. Perché? Il primo motivo è che manca la fiducia reciproca. Gli italiani si fidano pochissimo degli altri, meno di quanto lo facciano gli anglosassoni o gli scandinavi, come dicono tutte le statistiche. Dato che per premiare il merito qualcuno deve decidere dove il merito sta, se non ci si fida di chi sceglie, non si accetta la meritocrazia. (Vota il sondaggio).
Si cerca di aggirare questo problema stabilendo regole che dovrebbero automaticamente premiare i migliori, togliendo ogni giudizio personale, di cui appunto non ci si fida. In realtà queste regole di solito falliscono, o perché è impossibile stabilire criteri oggettivi o, peggio, perché fatta la regola si trova l'inghippo. Quando un collega giovane è promosso, invece che al suo merito si pensa subito (magari a ragione) alla raccomandazione e al favoritismo. E se si pensa che il favoritismo sia prassi comune allora perché non scegliere un amico o parente quando spetterà a noi decidere? E quindi si ritorna a promozioni solo per anzianità, e quando si finisce in questo circolo vizioso è difficile uscirne.
Il secondo problema è il "familismo amorale", come lo definiva Edward Banfield, e quindi il nepotismo. Si badi che la famiglia è senza dubbio un'istituzione fondamentale. Quella che critico è una certa degenerazione della famiglia. Come notava Roberto Perotti nel suo libro sull'università italiana ("L'università truccata") il nepotismo all'interno di quest'ultima è rampante. Uno dei casi più citati era quello del dipartimento di economia dell'università di Bari con sette professori con lo stesso cognome. E non era un caso isolato. Lo stesso vale in molti altri settori. Quanti figli fanno la professione (chiusa alla concorrenza) dei padri perché hanno un accesso privilegiato e non perché ne abbiano il merito? Come predicare la meritocrazia a chi un padre privilegiato non l'ha? È ovvio che vi sono situazioni perfettamente legittime di padri e figli nella stessa professione, ma il problema nel suo complesso esiste. Le connessioni familiari sono il principale meccanismo di collocamento, oliato da favori reciproci.