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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 15:04.
Mentre Roberto risponde trafelato al telefono, Betty sta preparando la cena per il compagno, la figlia, la nipote. Roberto è a Roma, Betty a casa, provincia veneta. Roberto, sono le sette di sera ed è ancora in ufficio: sta chiudendo una riunione. «Ci sentiamo dopo», dice. Richiama un'ora più tardi. «Ora possiamo parlare» e si sente in sottofondo il fruscio che fanno gli auricolari. «Sono in motorino - spiega - ma se rinviamo domani sarà anche peggio». Betty e Roberto sono madre e figlio. Lui è un ingegnere con una specializzazione nel settore ambientale, un trentenne che cerca di costruirsi professione e vita, lei un'infermiera oggi in pensione. Roberto non fa parte di quel 28,9%, certificato dall'Istat, di giovani disoccupati. Non si sente un "bamboccione" perché un lavoro ce l'ha e sembra rifuggire anche da quella retorica «secondo cui i giovani sono indistitamente vittime» di cui scrive il professore Alberto Alesina in un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore dello scorso venerdì. Roberto e Betty fanno parte dello stesso mondo e allo stesso tempo appartengono ai due mondi radicalmente diversi. La loro è una storia comune e quotidiana.
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Soddisfatto? «Abbastanza - racconta - almeno io riesco a fare quello per cui ho studiato». Specifica "almeno" perché a molti suoi amici non è andata così: «Un mio amico ha due lauree, una in arte e una in lettere moderne, e al momento fa la guida turistica free lance». Poi aggiunge che questo non è affatto un caso isolato. La gran parte dei suoi coetanei colleziona specializzazioni, un po' per colmare un vuoto un po' perché il mercato del lavoro cambia a una velocità tale che ciò che in teoria va bene quando si comincia a studiare, cinque anni dopo può già non servire più. Gli ingegneri gettonatissimi, ad esempio, fino a poco tempo fa, lo sono diventati già meno quando è stata la volta di Roberto e poco ha contato la sua passione per l'ambiente e i due anni trascorsi in Australia, uno dei quali investito per preparare la tesi. «Dopo la laurea in realtà ci ho messo abbastanza poco, due o tre mesi, per trovare un lavoro. Il problema è che si è sempre trattato di collaborazioni pagate al minimo». Ora che di anni ne sono trascorsi cinque, Roberto guadagna 1.350 euro circa netti al mese. È la condizione standard e diffusa. Di prendere casa, da solo a Roma, ovviamente non se ne parla. «Con i prezzi degli affitti non riuscirei proprio». Visto che per un monolocale si va in media dagli ottocento ai mille euro.