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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 12:53.
PARIGI - Quattro indicatori per ridurre gli squilibri che minacciano la crescita dell'economia mondiale. I tecnici incaricati dei lavori preparatori della riunione dei ministri finanziari e dei governatori del G-20 che inizia stasera a Parigi, secondo diversi partecipanti agli incontri, hanno individuato nella bilancia delle partite correnti, nel tasso di cambio reale, nel debito complessivo di un paese e nel deficit pubblico i quattro elementi attorno ai quali misurare le politiche economiche delle grandi economie avanzate e delle nuove potenze emergenti e coordinarle per una crescita globale più equilibrata.
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La scelta del debito complessivo, quindi debito pubblico e debito privato, è venuta tra l'altro dietro sollecitazione dell'Italia, che soffre di un alto debito pubblico ma conta su un basso livello di indebitamento di famiglie e imprese, e considera il fatto che l'eccessivo debito privato è stato all'origine della crisi in numerosi paesi. Tuttavia, l'accordo finale sugli indicatori prima della conclusione di domani non è ancora certo, soprattutto per le resistenze cinesi.
Un rapporto confidenziale del Fondo monetario al G-20 indica negli squilibri globali uno dei principali rischi per l'economia mondiale, che si sta ora riprendendo dalla profonda recessione del 2009 e dovrebbe crescere, secondo le ultime stime dell'Fmi, del 4,5% nel 2011, ma a due velocità, lenti i paesi avanzati, più rapidi gli emergenti.
«Abbiamo un mondo in cui la Cina risparmia ed esporta - ha detto ieri il padrone di casa dell'incontro, il ministro francese Christine Lagarde -, l'Europa consuma e cresce lentamente e gli Stati Uniti consumano e si indebitano. Si tratta di vedere se possiamo continuare in questo modo». La presidenza francese si sta adoperando per ottenere un'intesa sugli indicatori, secondo il mandato affidato ai ministri dai capi di stato e di governo al vertice di Seul del novembre scorso. La scelta di affidarsi a diversi indicatori era stata adottata dopo che Pechino aveva respinto tutte le pressioni per una più rapida rivalutazione del cambio e, successivamente, per fissare un tetto al proprio surplus dei conti con l'estero, come proposto dagli Stati Uniti.