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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 12:24.
Il presidente bielorusso, Alyaksandr Lukashenko, può sfoggiare una non nobilissima etichetta, quella di "ultimo dittatore di Europa". Natali modesti, una lunga carriera negli apparati dell'Urss, nostalgico dell'impero sovietico, di cui sogna una ricostituzione intorno a un nucleo formato da Russia e Bielorussia, Lukashenko vince abitualmente le presidenziali, fin dal 1994, con risultati dell'80 o 90 per cento.
Davanti alle critiche sul funzionamento ben poco democratico della macchina elettorale, il presidente Lukashenko ha scherzato, dicendo che, sì, ha fatto truccare talvolta l'esito delle urne, ma al ribasso, diminuendo il numero dei consensi tributatogli, proprio per non scandalizzare osservatori non avvezzi ai plebisciti.
Nel dicembre dell'anno scorso, Lukashenko è stato rieletto presidente per la quarta volta: avrebbe preso l'80 per cento dei suffragi, mentre il più votato tra i suoi avversari avrebbe superato di poco il 2,5. Seguirono proteste di piazza, duramente represse e quasi tutti i candidati che avevano concorso alle elezioni sono stati arrestati. Con la libertà politica ridotta ai minimi termini, la Bielorussia rimane cristallizzata, anche esteticamente, in una sorta di limbo postsovietico.
Negli ultimi anni il presidente, che con la moglie ha due figli ormai grandi, si è fatto spesso accompagnare nelle occasioni ufficiali più disparate, dal terzo figlio, Nicolai soprannominato "Kolya", nato da una relazione con il suo medico personale. Lukashenko avrebbe talvolta parlato di lui come del suo "erede". Cosa che ha preoccupato molti, specie in considerazione del fatto che il bambino non ha ancora compiuto sette anni.