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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2011 alle ore 08:06.
L'onda rivoluzionaria che sta correndo lungo le coste dell'Africa settentrionale, dall'Algeria all'Egitto, potrebbe costare cara alle imprese italiane. E non solo a chi ha un investimento diretto - uno stabilimento produttivo, una grande opera in costruzione - in questi paesi. In pericolo ci sono anche le aziende, piccole e grandi, che hanno le loro mura al sicuro sul suolo italiano ma che esportano i loro prodotti in Libia, Egitto, Tunisia e Algeria. Quanto rischiano? Molto: nel 2011 all'appello potrebbero venire meno fino a otto miliardi di euro di esportazioni.
Nodo energia per la Ue alla ricerca di alternative (di Paolo Migliavacca)
Sui flussi verso l'Italia pesa l'effetto domino (di Francesca Padula)
Il dato non è ufficiale, ma mette insieme una serie di considerazioni avanzate dalle associazioni di settore. Molto meno timorose, rispetto alle singole aziende, di svelare i dati e lanciare l'allarme. Comincia l'Anie, che riunisce l'industria elettrotecnica ed elettronica italiana: quest'anno l'export verso la regione nordafricana perderà 1,2 miliardi di euro, di cui 800 milioni solo per i comparti dell'elettrotecnica. È una cifra pesante, è il 70% del totale delle esportazioni. Prima infatti che si accendesse la miccia della prima rivolta, quella tunisina, le stime sugli introiti 2011 ipotizzavano una crescita del 40%, per una cifra intorno agli 1,9 miliardi. Ora nelle casse dell'Anie potrebbero arrivare solo 700 milioni.
«La precarietà della vigente situazione politica – spiega il suo presidente, Guidalberto Guidi – metterà verosimilmente in discussione i grandi piani di investimento governativi di tutta l'Africa del Nord nei settori infrastrutturali più strategici per le nostre aziende: trasporti, energia elettrica, edilizia, telecomunicazioni. Il ricambio politico creerà inoltre problemi per quanto riguarda la nomina dei nuovi vertici alla guida degli enti pubblici, che sono i nostri principali committenti per i piani di sviluppo infrastrutturale, con conseguenze anche sulla messa in discussione delle commesse fino a ora siglate».
Di un analogo tracollo parla l'Ucimu, che raccoglie i costruttori di macchine utensili e robot: il danno economico è stimato in una riduzione del 70% del business. L'indicazione sulle macchine utensili è particolarmente importante: costituiscono, è vero, solo una piccola fetta delle apparecchiature destinate a questi paesi. Ma il comparto dei macchinari è la prima voce dell'export italiano verso l'Algeria e l'Egitto, nonché una delle principali per Libia e Tunisia.