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Renzi: «Liberiamoci di carte e caste»

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2011 alle ore 15:55.

«Serve una gigantesca angioplastica per liberare le arterie otturate dell'Italia». Nel giorno in cui Mario Draghi ricorda gli ultimi 15 anni di affanno per l'economia e insiste sulle riforme strutturali, Matteo Renzi, sindaco di Firenze del Pd più noto come il "rottamatore", propone di fare al Paese qualcosa di simile a quello che gli emodinamisti fanno alle coronarie occluse. «Bisogna togliere pezzi di casta e pezzi di carta», insiste ma prima c'è la crisi del Maghreb sotto gli occhi.

La crisi in Libia deve cambiare l'atteggiamento dell'opposizione verso il Governo? Il Pd deve continuare a chiedere le dimissioni del premier o deve collaborare?
Quello che sta accadendo in Libia non cambia le vicende politiche interne. Non credo che il centro-sinistra debba mutare atteggiamento politico e, comunque, le dimissioni del premier non sono nella disponibilità del Pd.

Torna il tema dell'immigrazione che è sempre stato il tallone d'Achille della sinistra, sarà ancora un problema?
Non vorrei che le rivolte nel Mediterraneo fossero rubricate solo come una questione di sbarchi e di benzina. Sta cambiando il mondo, abbiamo di fronte alle nostre coste un "1989" dei paesi arabi, c'è in gioco la stabilità di un'intera area strategica, dovremmo guardare non solo alla Libia ma fino all'Iran. L'Italia, quindi, non può ridurre il suo ruolo alimentando paure ed evocando immigrazioni bibliche. La domanda che si deve porre il nostro Paese è: quale sarà il destino del Mediterraneo e cosa deve fare Bruxelles? L'Europa è sempre in prima fila quando c'è da emanare una direttiva su un prodotto tipico o su come mangiare il panino al lampredotto. Adesso possiamo chiedere all'Europa di intervenire anche per fare politica? Questa è l'occasione per creare una seria regia comune.

Sì ma l'allarme c'è: cosa dice ai lampedusani e agli italiani preoccupati di ritrovarsi in tante Lampedusa?
C'è un'emergenza umanitaria che è prioritaria e va affrontata. Parliamo di persone che sbarcano fuggendo da una guerra civile e noi non possiamo girare la testa o ergere un muro: sarebbe inaccettabile. Detto questo Lampedusa è in Europa e, ripeto, occorre che la gestione diventi europea spezzando questo gioco allo scaricabarile.

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In queste ore Bankitalia ricorda che da 15 anni l'Italia fa fatica a crescere: lei avrebbe accettato il confronto offerto dal premier sull'economia?
Sugli aspetti tattici è difficile pronunciarsi perché un giorno il Cavaliere prova a fare il leader rassicurante, un altro dice che il centro-sinistra è votato da "coglioni" che sognano il bunga bunga. Trovo, però, necessario e urgente mettere tra le priorità ciò che dice Mario Draghi. La crescita è la nostra emergenza e va respinto lo spartito tremontiano di un'Italia salvata dal rischio-Grecia grazie a un ministro dell'Economia che ha tenuto i conti in ordine. Primo: l'Italia non è la Grecia perché noi siamo il secondo paese europeo per l'industria manifatturiera. Abbiamo diritto a qualche ambizione in più. Secondo, il debito pubblico è un aspetto importantissimo, ma per come siamo messi adesso non è tutto.

Lei non proporrebbe una patrimoniale come hanno fatto Amato o Veltroni?
Il debito va ridotto con i tagli alla spesa non con la patrimoniale una tantum. Credo sia un errore non dal punto di vista teorico ma pratico. Imporrre una patrimoniale – che di certo allarmerebbe tutti gli italiani e non solo i destinatari effettivi – per portare il debito da circa il 115% al 102% del Pil, non credo risolva il vero dilemma italiano. Piuttosto, quei 30 miliardi di entrate, si potrebbero ricavare da uno spostamento del carico fiscale: il peso delle tasse deve traslocare dai redditi più bassi e dalle piccole imprese verso la rendita finanziaria oggi tassata solo al 12%. Anche qui va chiarito che la tassazione riguarderebbe non i titoli di stato, che vanno lasciati da parte, ma piuttosto la speculazione finanziaria. Questa operazione ci farebbe recuperare quasi due punti di Pil e andrebbe a tutto vantaggio di un rilancio della domanda interna e dei consumi perché metterebbe i soldi in tasca alle fasce più deboli e alle imprese. Insisto, serve mettere in moto l'economia: c'è una fetta di italiani che non ce la fa e se aiutiamo loro, ripartono i consumi.

Bastano i consumi? E le liberalizzazioni che sono il vero tabù?
All'Italia serve un gigantesco intervento di angioplastica. Serve, cioè, che sturiamo le arterie italiane incrostate da troppe caste e troppe carte. A cominciare dai costi della politica: a cosa servono mille parlamentari, i vitalizi ai consiglieri regionali, il ceto politico delle province? È demagogia? Forse. Ma oggi il Paese ha bisogno di simboli per mostrare con evidenza una rottura.

Si ferma ai parlamentari?
Dobbiamo abolire pezzi di casta ma anche pezzi di carta. Va finalmente decisa l'abolizione del valore legale del titolo di studio perché solo così mettiamo al centro il merito, il talento. Ciascuno deve poter dimostrare cos'è in grado di fare al di là di un pezzo di carta ottenuto – magari – in un diplomificio o in una piccola università creata solo per dare posti agli amici dei baroni. Il pezzo di carta è il mito di una generazione che non c'è più: oggi i giovani devono competere con gli ingegneri indiani o cinesi. Dunque, vanno dimezzate le università e i baroni. Ma un pezzo di casta sono anche le associazioni di categoria. Per esempio le camere di commercio. Cosa rappresentano? Dal mio punto di vista andrebbero abolite. Come avrebbero bisogno di una cura dimagrante i sindacati.

Si può dichiarare guerra a tutti, perfino ai sindacati, e pensare di vincere o governare? E il consenso?
Io non sono per dichiarare guerra a nessuno. Vorrei solo che si facessero cose che sono necessarie per rimettere in moto il Paese. Ci sono troppi che campano sulle posizioni di rendita. Lo sa che i sindacati italiani rappresentano per oltre il 50% i pensionati? E lo sa che nei sindacati in Francia e Germania la percentuale di chi non lavora scende al 20%? Serve un po' di coraggio per mettere in discussione la rappresentatività del sindacato e dire – finalmente – che una sigla sindacale non deve essere un punto di riferimento imprescindibile per la politica.

Ma il Pd può fare a meno della Cgil?
Il centro-sinistra non vincerà perché c'è Ruby ma perché riuscirà a fare le sue proposte rompendo dei tabù ideologici. E soprattutto perché così riuscirà a posizionare l'Italia su un livello di competitività adeguato. O vogliamo che i nostri figli finiscano per fare i badanti dei cinesi o degli indiani? Per quanto riguarda i sindacati, prendo atto che sono molto organizzati, anche perché hanno molti soldi e un sistema di finanziamento e di rendicontazione particolare. Il centro-sinistra non deve fare a meno di sindacalisti bravi e appassionati ma l'angioplastica serve anche nel loro mondo dove la metà dei sindacalisti (come la metà dei parlamentari e delle associazioni di categoria) dovrebbe tornare a lavorare. E invece di difendere solo i diritti di serie A dovrebbero aumentare la loro presenza dove i diritti non ci sono, tra i precari e nella nuova generazione.

Si candiderà alla guida del Pd?
Non è all'ordine del giorno.

E nell'ordine di qualche anno?
Chi vivrà vedrà.

Non le piacciono Bersani e la Bindi ma c'è qualcuno che le piace nel Pd?
Mi piacciono le idee nuove e coraggiose. Spero che il leader venga sempre scelto con le primarie. Se poi vincerà Bersani o la Bindi, bene.

Il tour tra le città per la presentazione del suo libro "Fuori" ha molto del veltronismo: citazioni di Bob Kennedy e Obama. È stato contagiato?
Premesso che il veltronismo non è una malattia, Veltroni ha avuto l'intuizione giusta per il Pd ma la foto di gruppo non era credibile. Le idee non bastano se le facce e le storie dei protagonisti sono sempre le solite.

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