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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2011 alle ore 18:01.

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Con questo articolo pubblicato lo scorso 27 febbraio sul sito del Sole 24 Ore la nostra collaboratrice Francesca Marretta ha vinto l'edizione 2011 del "Premio giornalistico Enzo Baldoni e reporter caduti sui fronti di guerra". Il premio è stato assegnato "Per avere ricordato le difficili condizioni di vita delle minoranze discriminate dalle conseguenze della guerra civile". È la seconda volta che il riconoscimento viene attribuito a un giornalista del Sole24Ore.com: nel 2008 il primo premio assoluto andò a Riccardo Barlaam per l'articolo Bye bye Africa

Da ottant'anni rovistano nella spazzatura del Cairo. Oggi la riciclano, sfamando intere famiglie. Si chiamano Zabbalin, letteralmente, popolo dell'immondizia. Vivono in povertà, in un sobborgo a nord-est della capitale egiziana, megalopoli da quasi diciotto milioni di abitanti. La baraccopoli di Manchiyet Nasr ai piedi della colline Moqqatam, si è sviluppata negli ultimi decenni, e trasformata in una "cittadina" da 30mila anime meglio nota come "Garbage City", la città della spazzatura. Il 90% degli abitanti della zona è composto da cristiani copti provenienti dal sud dell'Egitto.

Una situazione capovolta rispetto al resto del paese, dove i copti contano per il 10% degli ottanta milioni di abitanti del più popoloso paese del mondo arabo. Al primo impatto, inoltrandosi tra le vie irregolari dello slum, in cui intere famiglie vivono a stretto contatto con topi, cani randagi, capre e ogni tipo di rifiuto, organico e inorganico, si è indotti, istintivamente, a commettere l'errore di bollare come semplici mondezzai gli Zabbalin. Hanna Fathi, 27enne dai capelli ricci e la carnagione chiara, spiega: «La spazzatura quì è fonte di sostentamento, è un lavoro. La gente non ci dorme sopra. Se avessimo a disposizione una fabbrica in cui separare i rifiuti, non lo faremmo nelle case». Hanna è nato a Manchiyet Nasr e cresciuto frequentando la chiesa del Santuario di San Simone, complesso scavato nella roccia sulla collina che guarda Garbage City, punto di riferimento per la comunità locale.

Essere uno Zabbalin al Cairo è uno stile di vita. I copti che sbarcano il lunario grazie ai rifiuti incarnano un modello di sensibilità ambientale, pur dettata dalla necessità, che non conosce eguali al mondo. A Garbage City i rifiuti sono riciclati all'80 per cento. Cifra che batte di gran lunga la capacità di recupero di materiali in paesi avanzati. L'Inghilterra, ad esempio, secondo dati dell'ente governativo britannico Department for the Environment, Food and Rural Affairs (Defra), pubblicati lo scorso anno, raggiunge una percentuale di riciclo del 38,8 per cento. «I rifiuti raccolti nelle discariche o da varie zone del Cairo vengono portati qui. Ogni famiglia ha il suo business. Chi ricicla la plastica, chi il vetro o il metallo, la carta e tutto il resto. Non si butta via nulla», continua Hanna. La raccolta della spazzatura è affidata agli uomini. Le donne, con gli anziani di famiglia e i bambini, dividono i rifiuti. La rivendita, in genere, spetta ai capofamiglia. A passeggio per Garbage City gli asini portano in groppa sacchi di rifiuti da mandare all'acquirente di turno, che lo rivende alle fabbriche che lavorano i materiali recuperati. Chi è messo meglio economicamente usa il furgone. Donne e bambini, seduti tra i grandi sacchi, ci infilano le mani per dividere materiale. A viglilare sul lavoro della comunità copta di mondezzai del Cairo, si vedono ovunque immagini sacre e riproduzioni di Madonne e Shenuda III, il papa dei Cristiani Copti d'Egitto.

Ce n'è una anche dall'uscio di casa di Afef Azzet. La donna esce dal portone. Piazza su una grossa bilancia di metallo, in strada, un sacco azzurro con rattoppi e qualche strappo. L'involucro contenente la mercanzia è bello grosso, ma non pesa molto. Contiene vasetti di yogurt svuotati. Con quattro sacchi venduti a un ragazzo che a sua volta li rivenderà in qualche stabilimento, Afef, corporatura massiccia, capelli scuri raccolti e indosso una tunica di velluto blu, ha guadagnato 15 sterline egiziane.

Se la minoranza copta è discriminata in Egitto nell'accesso agli incarichi pubblici, alla professione, alle nomine istituzionali, gli Zabbalin, sono stati a lungo considerati alla stregua di intoccabili. Fino al 2009, a digerire i rifiuti organici della capitale egiziana erano i maiali di Garbage City. Animali preziosi per gli Zabbalin, ma impuri per la maggioranza musulmana del paese. Prendendo a pretesto l'epidemia di febbre suina, che secondo gli esperti non è mai arrivata in Egitto, il governo del Cairo decise, tre anni fa, di abbattere l'intera popolazione suina, trecentomila esemplari. Gli Zabbalin non sono stati indennizzati, nè le autorità egiziane non hanno mai avviato campagne di sensibilizzazione ambientale, suggerendo alla popolazione della megalopoli di separare i rifiuti organici dal resto della spazzatura.

Oggi, interi edifici e tetti degli slum di Garbage City, sono stati trasformati in una sorta di fattorie urbane in cui capre e altri animali mangiano la parte organica dei rifiuti. La caduta del regime di Mubarak è stata salutata con soddisfazione anche nello slum cristuano. Ma l'angoscia per quello che verrà in seguito, serpeggia tra gli Zabbalin. Se a Piazza Tahrir, epicentro delle rivolta anti-Mubarak, molti slogan inneggiavano all'unità di cristiani e musulmani, nel quartiere dei mondezzai copti è tutta un'altra musica. Shareq Bushara 60 anni, baffi e tunica bianca, è seduto in strada su una sedia di plastica a discutere animatamente con amici e vicini della direzione che prenderà il paese. Intorno, fanno da cornice gli immancabili sacchi di immondizia da riciclare. «Certo che per noi ci saranno problemi in futuro. I Fratelli Musulmani potrebbero un giorno controllare l'Egitto», dice Shareq, che aggiunge: «La mia preoccupazione sono i ragazzini. Saranno perseguitati perchè cristiani. A noi quì può succedere di tutto. Di noi non importa a nessuno». Gli fa eco Kens Hanna, 42 anni, che i baffi, a differenza del canuto Shareq, ce li ha neri e folti. «Anche se qui siamo tutti cristiani, i musulmani a volte vengono a tirarci le pietre. Sanno che non possiamo fare nulla e che la polizia difenderà sempre loro». All'inizio delle rivolte anti-regime, il Papa copto aveva fatto appello ai fedeli a non partecipare alle manifestazioni. Molti cristiani sono invece andati a Tahrir. Il malocontento per le discriminazioni subìte dai copti e aumentate, negli ultimi dieci anni, ha trovato sfogo nella rivolta anti-regime.

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