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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2011 alle ore 18:01.

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La strage di Alessandria, il più grave attentato subìto dai cristiani d'Egitto, che fortemente scosso una comunità già in collera in tutto il paese, ha preceduto le manifestazioni contro Mubarak di appena un paio di mesi. Ora che la rivoluzione ha vinto, a Garbage City è difficile imbattersi in qualcuno che rimpianga il vecchio Raìs. Ma quasi tutti temono per quello che sarà il domani. Come Leila, maestra della scuola gestita dalla Ong egiziana, The Spirit of Youth Association for Environmental Service, dove i ragazzini imparano a leggere e scrivere applicando il metodo Montessori, si usa il compter e si studia l'inglese. «Non mi sentivo certo protetta da Mubarak. Ora sta venendo fuori che la bomba ad Alessandria ce l'ha messa la polizia. Ma se il nuovo Egitto vuole davvero proporsi come democratico deve partire dall'eliminare le differenze che ci rendono cittadini di serie B», dice la donna dai capelli neri, che teme non solo una maggiore, futura, influenza dei Fratelli Musulmani, ma anche della Jamya Islamia.

«Vogliono introdurre la Sharia», continua Leila, il cui sguardo e tono diventano fieri quando dice: «Ma io il velo non me lo metto. È una cosa contraria alla mia religione. Il problema in questo paese è che questa gente (i musulmani) è cresciuta, nella convinzione di essere superiore rispetto a noi». Come vuole la tradizione della comunità copta locale non esistono scuole miste. Centocinquanta ragazzine della zona frequentano un altro centro in cui si ricicla carta e stoffa e s'impara a leggere e scrivere.

Nell'ambito del progetto educativo che coinvolge i bambini maschi, si riciclano bottiglie di plastica. È finanziato dalla Procter & Gamble. Un modo per aiutare i più bisognosi, ma anche per mettere fine a un business locale che si erano inventati gli Zabbalin. Riutilizzavano bottiglie vuote di shampoo di marca, riempendole con prodotto scadente che rivendevano nei negozi del Cairo. Riciclando quelle stesse bottiglie oggi si garantiscono un'istruzione, guadagnano qualche soldo e aiutano a diminuire la plastica in circolazione per il pianeta. Sui tetti di Garbage City ci sono inoltre almeno dieci pannelli solari. Tre si trovano sul tetto della casa di Hanna. Per entrare nell'appartemento del giovane, al primo piano di un edificio della città dei rifiuti, ci si toglie le scarpe. Il pavimento è lucido. La "monnezza" si respira, ma resta fuori dalla porta. «Ne installeremo 27», dice Hanna, che fa notare come non ce ne siano altrettanti a Nasser City, moderno distretto del Cairo dove ci sono Hotel a cinque stelle. Con una punta d'orgoglio, il ragazzo cresciuto tra oratorio e rifiuti, chiede: «Allora, a chi sta più a cuore l'ambiente, ai ricchi o ai poveri?».

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