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Citroen rossa o no nella storia di Yara la risposta più dolorosa è arrivata - Il criminologo: uccisa subito

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2011 alle ore 18:35.

Yara Gambirasio è una ragazzina di 13 anni. Vive a Brembate di Sopra, meno di ottomila abitanti. È terra di capannoni e di alacrità produttiva orobica. Poco più a nord si allunga la Val Brembana. Verso sud si sviluppa il triangolo dell'Isola Bergamasca. Da Brembate di Sopra in pochi minuti di macchina si arriva a Bergamo. Suppergiù, una decina di chilometri. Yara va a scuola proprio nel capoluogo. Tutte le mattine entra nell'aula della terza media nella scuola Maria Regina delle Orsoline.

Il criminologo: Yara uccisa a mezz'ora dal rapimento. Polemiche sulle indagini

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Alle sei e mezza del pomeriggio di venerdì 26 novembre 2010 fa piuttosto freddo. È gia buio. Yara esce dalla palestra. La Polisportiva comunale di Brembate di Sopra è un posto che la ragazza conosce benissimo. La sua passione è la ginnastica ritmica. Ha già vinto due medaglie d'oro a livello nazionale. Sono vittorie adolescenziali costruite allenandosi giorno per giorno proprio in quella palestra. Yara ha portato in palestra uno stereo, in vista di una gara. Quando è ora di tornare a casa, la ragazza chiude il suo giubbotto nero di Hello Kitty sulla sua maglietta azzurra ed esce. Un elastico rosso le stringe i capelli in una coda di cavallo, una praticità da giovanissima sportiva che non si vergogna di una pettinatura basic e dell'apparecchio ortodontico che le scintilla sui denti ogni volta che sorride. E Yara, racconta chi la conosce, sorride molto spesso.

Mentre percorre i primi passi verso casa, forse si infila nelle orecchie le cuffiette dell'iPod. Qualche minuto prima dal suo telefono cellulare Lg è da poco partito un sms per una sua amica. «Ci vediamo domenica, alla gara». Poco dopo la madre di Yara, Maura, maestra d'asilo le cui origini portano in Salento, chiamerà proprio quel telefono. Sua figlia dovrebbe aver già percorso le poche centinaia di metri che separano il cento polisportivo dalla villetta rossa della famiglia Gambirasio, in via Rampinelli. In quella casa Yara vive con mamma Maura, papà Fulvio, geometra in un'azienda della zona, e tre fratelli. Anche loro, come Yara, portano traccia di un'inclinazione dei genitori verso nomi bislacchi. Keba, la primogenita, ha un paio d'anni più di Yara. I maschi, Gioele e Nathan, sono i piccini di famiglia. Il telefono di Yara però è spento. E tale rimarrà.

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Tags Correlati: Brembate di Sopra | Citroën | Diego Locatelli | Enrico Tironi | Fulvio Gambirasio | Hello Kitty | Mapello | Maura Gambirasio | Mohammed Fikri | Yara Gambirasio

 

La ragazza quel pomeriggio non torna a casa. Alla sera neppure. Neanche di notte. Il suo telefono resta irraggiungibile. Sembra scomparsa nel nulla. Iniziano le ricerche che coinvolgono anche un grande numero di volontari. Un vicino di casa della ragazza, il diciannovenne Enrico Tironi, racconta ai giornalisti di aver visto Yara parlare con due uomini nei pressi di un'auto rossa. Benché gli inquirenti non gli credano un granché, in mancanza di testimoni il giovane diventa un habitué della sala interrogatori. Gli uomini che indagano sulla scomparsa di Yara ascoltano e riascoltato Enrico varie volte. Dettaglio più, dettaglio meno, la sua versione resta la stessa. Due persone e un'auto rossa. Una Citroën rossa.

Le ricerche continuano in un ampio territorio circostante. Non si trovano tracce interessanti. Ci si affida al naso dei cosiddetti "cani molecolari". Joker, un cane di Sant'Umberto, arriva addirittura dalla Svizzera per partecipare alle ricerche. Pare che Oltrechiasso addestrino unità cinofile particolarmente efficienti. Le tracce olfattive conducono con insistenza in un cantiere di Mapello, un paese vicino. Il luogo è analizzato con estrema cura. Non si trova nulla. Intanto una goffa traduzione dall'arabo di un'intercettazione telefonica mette nei guai il cittadino marocchino Mohammed Fikri.

La sera del 4 dicembre, il ventitreenne Mohammed, che lavora nel cantiere di Mapello, è a bordo di una nave che da Genova è diretta a Tangeri. L'inizio della sua vacanza si interrompe bruscamente. Poche ore dopo il giovane è in stato di fermo a Bergamo, gli chiedono di spiegare molte cose. Perché quelle parole al telefono? Perché tanta fretta di imbarcarsi? Si alza subito qualche borbottio contro gli stranieri. Il sindaco di Brembate di Sopra, Diego Locatelli, leghista, smorza con la sua tranquillizzante sobrietà ogni faciloneria xenofoba. In breve, grazie ad ascolti più precisi, si scoprirà che al telefono Mohammed non parlava di omicidi, ma di tutt'altro. E c'è una spiegazione anche per ogni altro sospetto che lo riguarda. Il ragazzo in pochi giorni sarà del tutto scagionato.

Maura e Fulvio, i genitori di Yara, mantengono una riservatezza d'altri tempi che si direbbe pretelevisiva. Si limiteranno a un compostissimo e saltuario appello davanti alle telecamere. I talk show e le trasmissioni pomeridiane devono accontentarsi di riproporre per mesi sempre gli stessi fotogrammi. Di più da Maura e Fulvio non riusciranno mai a strappare. Nemmeno quelle solite tre parole un po' stizzite che anche i più ritrosi finiscono di concedere, anche soltanto per aprirsi un po' più agevolmente una via nel fitto dei microfoni. Maura e Fulvio chiedono soltanto rispetto. Apprezzano molto le manifestazioni di solidarietà, ma soprattutto quelle composte e poco fracassone. Poi chiedono addirittura il silenzio stampa.

Intanto si segue ogni ipotesi. Gli investigatori e le squadre di volontari perlustrano ogni angolo della Bassa Bergamasca. Arriva qualche lettera anonima, qualche segnalazione stravagante. Ma non c'è nessun riscontro. Si ripercorrono le strade già percorse. Si fruga nei campi, intorno ai paesi, nelle zone industriali, nei pochi interstizi sterpagliosi che tra un paese e l'altro l'operosità bergamasca non ha trasformato in terra produttiva. Sono luoghi battuti soltanto da chi fa jogging solitario o porta a spasso il cane. Da qualche coppietta. Da qualche tossico. Di Yara sembra non esserci nessuna traccia, dal momento in cui il suo telefono ha agganciato la cella di Mapello nel tardo pomeriggio del 26 novembre, in quegli stessi minuti in cui la ragazza è scomparsa. Il passare dei mesi e l'assenza di risultati non sembrano fiaccare le ricerche.

Sabato 26 febbraio, un uomo di circa quarant'anni, Massimo, approfitta del fine settimana per usare il suo aeroplano telecomandato. Sceglie come campo di volo uno spiazzo nei pressi di un piccolo polo industriale vicino a Chignolo d'Isola, a una decina di chilometri da Brembate di Sopra. L'aeromodello non funziona come dovrebbe. Massimo lo vede atterrare tra l'erba alta. Non lo vede più. Lo cerca, frugando con gli occhi il terreno arbustoso. Prima di vedere la minifusoliera vede qualcos'altro. Si avvicina. Chiama il 113. Quel qualcos'altro e il corpo di Yara Gambirasio. A prima vista la ragazzina ha ricevuto alcune coltellate. L'autopsia cercherà di aiutare a scoprire altre risposte. Quelle risposte che, in silenzio come sempre, Fulvio e Maura Gambirasio attendono da tre mesi. La prima risposta, quella fondamentale, quella più dolorosa, è già arrivata sabato.

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