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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 07:59.

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Liberano prima l'aeroporto, poi circondano i miliziani fedeli al raìs che non sono riusciti a ritirarsi e si sono asserragliati nell'università. In poche ore il coraggio e le motivazioni dei giovani rivoluzionari prevalgono sugli armamenti più moderni delle milizie di Gheddafi. Brega è stata riconquistata.

Poco prima, mentre un convoglio di ambulanze scortato da cinque tecniche correva verso il luogo degli scontri, dalla Tv di stato Muammar Gheddafi era tornato a far sentire la sua voce: «Ci saranno migliaia di morti se ci sarà un intervento militare degli Stati Uniti o della Nato in Libia. Vogliono farci tornare schiavi come eravamo sotto gli italiani? Non lo accetteremo mai, entreremo in una sanguinosa guerra». Dopo aver ribadito che l'Italia è stata costretta «a inginocchiarsi e a chiedere scusa per la dominazione coloniale», Gheddafi ha usato toni duri anche contro il presidente del consiglio: «Berlusconi ha detto che non controllo più il paese? Si ricordi che la Libia è la famiglia Gheddafi!». Infine, dopo aver accusato al-Qaeda di sostenere la rivolta, un'ulteriore minaccia: la produzione di petrolio in Libia è scesa ai livelli «più bassi», a causa della partenza dei dipendenti delle società petrolifere straniere che operano nel paese. Ma in prospettiva, ha aggiunto, la Libia è pronta a sostituire le compagnie petrolifere occidentali con quelle cinesi e indiane. Ci vorrà del tempo. Anche perché i due belligeranti sembrano in una situazione di stallo, mentre il bilancio dei morti continua a salire. «Si contano 6mila vittime dall'inizio della rivolta», ha dichiarato un esponente della Lega libica per i diritti umani alla tv al-Arabiya.

In serata a Bengasi, la capitale della Cirenaica da cui è partita la rivolta, molta gente si raduna nella grande piazza centrale. Più di mille giovani incendiano le foto del raìs e promettono vendetta, urlando «A Tripoli, a Tripoli». In piedi su un blocco di cemento, un uomo anziano con in mano un megafono cerca di riportare la calma: «Le forze dell'opposizione devono restare unite. Siamo la stessa mente. Non prendete l'iniziativa da soli». A pochi metri un capannello di gente discute animatamente sulla possibilità di un intervento militare americano. Da poche ore le autorità egiziane hanno reso noto che tre navi da guerra americane hanno effettuato il passaggio nel Canale di Suez e sono entrate nel Mediterraneo, in rotta verso la Libia. C'è chi è favorevole a una missione umanitaria, chi invoca un blitz contro il bunker di Gheddafi e le sue forze aeree, chi, dicendo di temere un altro Iraq, è fermamente contrario.

Il tempo non gioca a loro favore. Lo sa anche il segretario di stato americano Hillary Clinton. Durante un'audizione al Senato ha lanciato un monito preoccupante: se l'intervento internazionale non sarà valutato con estrema cautela, «c'è il rischio che la Libia sprofondi nel caos e si trasformi in una gigantesca Somalia».

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