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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 06:41.

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Caso Ruby: Fini prova a smarcarsi. Nella foto la 18enne marocchina in compagnia del magnate 78enne Richard Lugner (Ansa)Caso Ruby: Fini prova a smarcarsi. Nella foto la 18enne marocchina in compagnia del magnate 78enne Richard Lugner (Ansa)

Se il conflitto "Camera vs magistrati di Milano" doveva servire anche a mettere nell'angolo il presidente della Camera, Gianfranco Fini ha già cominciato a smarcarsi. Ieri ha girato la lettera dei capigruppo Pdl, Lega e Responsabili sia alla giunta per le autorizzazioni a procedere sia a quella per il regolamento. Acquisiti i pareri deciderà il da farsi, ma sembra sempre più orientato a rimettere la decisione finale all'aula, come gli chiede la maggioranza e, in fondo, gli suggerisce persino Anna Finocchiaro del Pd. La prossima settimana, al massimo quella successiva, Fini deciderà il passaggio in aula.

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A Berlusconi basta la maggioranza semplice e visto che sostiene di poter già contare su 320 voti, dà per fatto il via libera al conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta. Il premier ostenta sicurezza, in Parlamento assicura che «in un paese normale il processo Ruby durerebbe mezz'ora» e, in occasione del battesimo di «Rivolta ideale», la fondazione di Domenico Gramazio che riunisce le associazioni della destra sociale di area Pdl, torna ad attaccare i finiani, «i transfughi passati all'opposizione», e la sinistra, «orfani nostalgici del comunismo impreparati al governo del Paese».

Ma anche Fini ha messo in campo ieri la sua strategia. Il presidente della Camera non vuole accuse strumentali di imparzialità. Pur riservandosi l'ultima parola, ha preferito lasciare alla giunta per il regolamento il compito di indicare la strada da percorrere sul conflitto, perchè «il caso in esame non è riconducibile in maniera immediata ai precedenti». Anche se – rivendica – non ci sono dubbi che all'ufficio di presidenza spetti «un ruolo di filtro» e che in passato la sua valutazione negativa ha impedito il voto dell'aula. Al di là delle ragioni "istituzionali" ci sono però anche ragioni più politiche. Rispettare pedissequamente la prassi, rimettendo la decisione al solo ufficio di presidenza, potrebbe scaricare sul solo Fini la responsabilità della decisione finale. Nell'ufficio di presidenza la maggioranza attualmente è in svantaggio (8 a 10, escludendo Fini) ma potrebbe recuperare un voto con l'ingresso del rappresentante dei Responsabili. Il rischio, poi, che nell'opposizione qualcuno si sfili (l'Mpa ieri non ha votato contro il governo), ribalterebbe a quel punto la situazione rendendo così determinante il voto del presidente della Camera. Meglio dunque evitare.

Intanto la «grande, grande, grande riforma» costituzionale della giustizia stenta a prendere una forma compiuta. Ieri il guardasigilli Alfano ha illustrato alla Consulta Pdl giustizia lo stato dell'arte, chiarendo che nel testo non ci saranno le modifiche annunciate sulla Corte costituzionale. E a chi gli chiedeva i motivi di questo ripensamento, il ministro ha risposto: «Per ragioni di organicità di materia». Idem per l'immunità, anche se a molti è venuto il sospetto che, con la presentazione del conflitto, Berlusconi voglia evitare di creare malumori a palazzo della Consulta. Alfano ha poi escluso modifiche sull'obbligatorietà dell'azione penale (salvo disciplinare con legge ordinaria «le modalità in cui esercitarla») mentre ha confermato lo sdoppiamento del Csm, ma quello dei pm non sarà presieduto dal ministro (semmai dal pg della Cassazione). Tuttavia, chi ha partecipato alla riunione parla di «linee generali, con molte opzioni ancora sul tappeto», compresa quella, sponsorizzata dalla Lega, dell'elezione dei capi degli uffici giudiziari. «C'è la determinazione forte a procedere a passo spedito per la presentazione del testo», assicura però Enrico Costa, pur confermando che i punti da chiarire ci sono. Quanto ai tempi di presentazione del ddl, Alfano ha detto ai cronisti che oggi aggiornerà il Consiglio dei ministri e che in quella sede verrà stabilita la data di approvazione. Ma c'è aria di un ulteriore slittamento, nonostante Berlusconi ieri sia tornato a dire che «entro la legislatura completeremo il programma di riforme» e, tra queste, quella costituzionale e quella sulle intercettazioni.

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