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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2011 alle ore 19:13.

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Se l'8 marzo dimostrasse che cambiare si può (Ansa)Se l'8 marzo dimostrasse che cambiare si può (Ansa)

«In bocca all'uomo, la parola 'femmina' suona come un insulto; eppure l'uomo non si vergogna della propria animalità, anzi è orgoglioso se si dice di lui: è un 'maschio'!». Era il 1949, Simone de Beauvoir (per autodefinizione non una femminista) lo scriveva nel suo saggio Il secondo sesso. Più di sessant'anni dopo sono innegabili alcune conquiste sul piano dei diritti, in ambito sociale, economico, nelle politiche, ma le speranze di uguaglianza restano lontane. Lo dicono chiaramente Istat e Eurostat che fotografano l'Italia come un paese ultimo nell'Unione europea per partecipazione delle donne al lavoro.

Alla vigilia del centenario della Festa internazionale della donna i più la intendono come momento per rilanciare il dibattito per la creazione di un nuovo sistema e una nuova cultura. Perché - rendono bene l'idea le parole di Marina Calderone, presidente del consiglio nazionale dei consulenti del lavoro - «la garanzia delle pari opportunità sia un principio fondante e non un obiettivo da realizzare».

La prima a essere chiamata ai fatti è la politica. Quella appena cominciata è una settimana decisiva in Parlamento, al Senato in particolare, per i provvedimenti che riguardano le donne. Martedì in commissione Finanze si dovrebbe arrivare a un accordo definitivo sulla legge per le quote rosa nei cda e nei collegi sindacali delle società quotate e a controllo pubblico. In aula ci sono il ddl sulle detenute madri e la mozione su donne e sistema dei media. Sui primi due provvedimenti non mancano le polemiche.
L'esecutivo ha cercato sia di rallentare i tempi di entrata a regime della nuova regola (30% di donne nei Cda) che di ammorbidire le sanzioni. La mediazione con la commissione Finanze dovrebbe arrivare alla svolta. Nei giorni scorsi si è raggiunto un accordo sulle sanzioni: il governo aveva proposto diffida e sanzione pecuniaria (da 100 mila euro a 1 milione), ma senza decadenza del Cda, come invece previsto dal testo uscito dalla Camera. I passaggi previsti dal nuovo testo prevedono: diffida di quattro mesi, sanzione, diffida di tre mesi e infine decadenza del Cda.

Per le mamme in carcere la norma al vaglio di Palazzo Madama prevede che le madri con bimbi fino a 6 anni, se imputate, non possano essere sottoposte a custodia cautelare in carcere, «salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza». Per le condannate è prevista la possibilità, di scontare un terzo della pena ai domiciliari o in istituti di cura o a custodia attenuata purché non abbiano commesso particolari delitti (per esempio quelli connessi alla criminalità organizzata). Ma i radicali criticano la legge: «Non introduce grandi novità per via delle modifiche restrittive al testo originario che rischiano di vanificarne i contenuti innovativi e lasciare più o meno invariato il numero di bambini incarcerati con le loro mamme». 70 bambini almeno.

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