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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2011 alle ore 19:13.

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Se l'8 marzo dimostrasse che cambiare si può (Ansa)Se l'8 marzo dimostrasse che cambiare si può (Ansa)

Quanto a donne e media il Senato è chiamato ad analizzare una mozione (prima firmataria la democratica Vittoria Franco) che impegna il governo «ad assumere le iniziative necessarie affinché il sistema radiotelevisivo pubblico, che rappresenta lo strumento principale di diffusione della conoscenza, svolga un'opera di sensibilizzazione al rispetto della diversità di genere e della dignità delle donne, finalizzata a una corretta rappresentazione della figura e del ruolo delle donne e alla rimozione di espressioni di discriminazione e degli stereotipi, lesivi della dignità delle stesse».

Fuori dai palazzi della politica è tempo di bilanci. Aspri per lo più
Sulla legge per le quote rosa nei Cda i commercialisti hanno preso posizione. «Se si riuscisse a salvarne l'impianto, difendendolo da quanti vogliono invece ridurne la portata - dice Giulia Pusterla, consigliere nazionale dell'ordine - sarebbe un modo per festeggiare l'8 marzo una volta tanto in maniera concreta, anziché con il ricorso ad un ormai purtroppo stanco e vuoto rituale».

L'8 marzo è considerato da Cgil medici «ancora amaro per le donne che in numero maggiore scelgono la professione di medico, sempre più rosa con oltre il 60% tra i nuovi laureati in medicina», con «il 37% di donne medico a tempo indeterminato, ma solo il 13% primari». Il rapporto di Manageritalia dice che le donne nel nostro paese «sono più istruite degli uomini e arrivano molto più dei colleghi alla laurea. Ma questo non basta a dare loro le stesse chance per arrivare ai vertici di aziende e società». «Prime per laurea (tra 30 e 34 anni sono il 23% e gli uomini il 15%), sono ultime come dirigenti (12%, 33% in Europa), membri cda (4,8% nelle società quotate in Borsa) e imprenditrici (23,3%)».

Ugl, nella voce del suo segretario generale Giovanni Centrella, sostiene che «per l'8 marzo non c'è alcuna vuota, retorica rivendicazione da fare, solo atti concreti da realizzare, a partire dall'orario di lavoro e dalla conciliazione». Le donne delle Acli denunciano «le difficoltà ancora esistenti», ma rivendicano con orgoglio i «benefici» della partecipazione femminile al mondo del lavoro «per l'intera comunità nazionale».
ll miglior augurio che possiamo fare, dice Susanna Camusso, leader della Cgil, è che «cambiare si può». «Lo dimostra il 13 febbraio, quando le piazze italiane hanno detto che le donne non sono a disposizione né subiscono, hanno un grande orgoglio di sé e una rivendicazione di dignità».

Un'indagine di Ipsos Public Affairs per conto del sito web alfemminile.com vede speranze per il futuro: forse, tra vent'anni la situazione cambierà. Ma essere donna è più difficile che essere maschio.
Ne sa qualcosa Tiziana Ferrario che proprio alla vigilia dell'8 marzo riceve quello che considera «il regalo più bello dopo mesi di dolorosa solitudine e umiliazione come donna». Così la giornalista del Tg1 commenta la decisione del Tribunale di Roma che ha rigettato il reclamo proposto dalla Rai contro l'ordinanza che il 28 dicembre scorso aveva disposto il suo reintegro nelle mansioni di conduttrice del Tg1 e di inviata per i grandi eventi.

«150 anni: donne per un'Italia migliore» è il tema della cerimonia per la celebrazione istituzionale della Giornata Internazionale della Donna al Quirinale. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, vuole sottolineare il ruolo delle donne nel Risorgimento, il loro contributo all'unificazione linguistica e culturale della nazione, alla conservazione del patrimonio culturale e civile, alla trasmissione dei valori alle giovani generazioni.
Michelle Bachelet, oggi a capo di Un Women, neonata organizzazione delle Nazioni Unite per ridurre le differenze di genere e accrescere il ruolo della donna nel mondo lancia un appello: «È tempo di realizzare le promesse sulle pari opportunità», «non possiamo permetterci di aspettare altri cento anni».

Se è vero come scriveva Simone de Beauvoir che «non si nasce donne: si diventa», dentro la società (almeno nel nostro paese), nonostante alcune buone intenzioni e certi proclami, siamo di fronte a un'evoluzione bislunga e rallentata.
Basta dare un'occhiata alla ricerca 'Le donne nelle istituzioni rappresentative dell'Italia repubblicana: una ricognizione storica e critica', presentato alla Camera. Dalla quale emerge che sono ancora troppo poche le donne in Parlamento: 21 donne facevano parte della Costituente nel 1946, nel 1948 le senatrici erano l'1,7% e il 6,19 le deputate, nel 2008 il 18,32% sono le senatrici e il 20,95 % le deputate. «I sistemi politici nei quali le donne sono sotto-rappresentate sono da ritenersi sistemi democratici incompiuti», si legge nel rapporto, per il quale, nonostante un «sostanziale» aumento della presenza femminile in Parlamento, «le donne si trovano oggi ad esigere diritti già ottenuti, anche se messi a rischio dalla crisi economica e svalutati per via di nuovi patti politici che le escludono dagli affari politici quanto privati».

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