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Questo articolo è stato pubblicato il 08 marzo 2011 alle ore 06:38.

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«Cari pacifisti, sparito Bush siete spariti anche voi?»«Cari pacifisti, sparito Bush siete spariti anche voi?»

Onorevole Veltroni, lei ha puntato il dito contro il silenzio dei pacificisti e ha invitato a manifestare a sostegno dei ribelli libici. Ma con quale obiettivo?
La mia riflessione è nata dallo sconcerto che ho provato nel sentire tanta indifferenza. Mi fa impressione vedere che – nelle coscienze di centro-sinistra – Gheddafi non susciti la stessa indignazione provata e manifestata contro dittatori cileni o argentini. E che non via sia la stessa partecipazione verso i ribelli libici come ci fu per le guerre dell'Iraq e dell'Afghanistan. Mi rendo conto che ora non c'è più un Bush da contestare e non siamo più dentro una schematica ripartizione di ruoli.

Siamo, però, in un mare aperto in cui serve una bussola nuova, in cui il tema libertà-non libertà conti più di prima. E diventa un errore enorme non avere il coraggio di manifestare per stare dalla parte di chi si ribella. Non avere il coraggio di investire per la democrazia e libertà.

Qual è la ragione del silenzio e delle piazze deserte?
Credo siano due le ragioni. La prima è che siamo entrati in una spirale di egoismo sociale e di riduzione del nostro orizzonte che include solo ciò che ci è vicino mentre quello che accade lontano lo guardiamo su Internet o in Tv ma con un sostanziale disinteresse. La seconda ragione è che era molto più facile stare dentro lo schema tradizionale dei conflitti del '900, quello in cui le opzioni possibili erano: giusto/sbagliato; amici/nemici. Quei conflitti erano definiti da una storia che non esiste più, quella dell'ordine di ferro della guerra fredda mentre oggi è il caos a dominare la scena internazionale ed è molto più difficile orientarsi.

La sua era una critica al Partito democratico?
In questo caso, no. Il Pd è stata l'unica forza politica a reagire anche con una manifestazione. No, mi sorprende l'assenza di sindacati, associazioni, movimenti. Tutti ricordiamo le piazze piene di manifestanti contro la guerra in Iraq. E adesso?

Il Pd dovrebbe fare autocritica dopo le relazioni con Gheddafi e il sì al trattatato di amicizia con la Libia?
In un altro momento storico quelle relazioni sono state comprensibili, sia pure con esagerazioni in entrambi in fronti, sia del centro-destra che del centro-sinistra. Ma oggi non regge più questo schema e il silenzio diventa incomprensibile e sbagliato.

Ma le rivolte comporteranno un rischio-estremismo?
Mi rendo conto che c'è un margine d'imponderabile nuovo. Queste rivolte del maghreb non sono come quelle contro regimi fascisti o comunisti dove – sia pure soffocata – esisteva una cultura democratica. Qui invece c'è il rischio che sfugga qualcosa, che possano prevalere le spinte integraliste. Ma la domanda è: a questo punto, che interesse ha l'occidente a essere così timido e impacciato di fronte a chi si ribella ai regimi? Credo che abbia ragione Angelo Panebianco quando dice che gli sbocchi possibili di questa crisi siano tre: una vittoria dei ribelli e un nuovo governo; la disintegrazione dello Stato come per la Somalia; infine, il ritorno di Gheddafi. Ecco, sono d'accordo sul fatto che solo il primo scenario sia – per noi – quello auspicabile. Il secondo esito rischia di far esplodere due bombe, quella dell'islamismo e dell'immigrazione di massa mentre l'ultimo è impensabile.

Eppure la prudenza sul Rais, anche di una parte del Pd nei primi giorni, è stata dettata dall'incertezza sulla sua fine.
Credo che ormai non ci sia più nessuno in occidente che pensi di tornare a parlare con Gheddafi dopo il massacro dei civili e dopo la condanna dell'Europa, degli Stati Uniti e della stessa Lega araba.

Pensa che da queste rivolte si possa trovare un nuovo baricentro tra realpolitik e idealismo?
Baricentro è la parola giusta. Non siamo "anime belle" e sappiamo che con la Cina – per esempio – è necessario dialogare per ragioni economiche. Tuttavia credo che l'occidente debba mettere in campo l'idea di costruire nuovi network di forze e culture democratiche altrimenti vincereranno le forze estremiste e islamiche. Ha ragione Marta Dassù quando dice che le società – per come sono strutturate e per i nuovi mezzi di comunicazione – saranno sempre più difficili da controllare e che sarà sempre più un errore di prospettiva politica sostenere i dittatori. A meno di pagare, poi, un prezzo verso chi si ribella. In queste ore si sta giocando questa partita: la gente che si ribella a Gheddafi guarda con attenzione all'occidente e se saremo indifferenti farà fatica a dimenticarsene. Con il rischio che questo alimenti l'integralismo.

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